Mazzi di fiori con la scritta «Stop racism» e foto di uomini di colore sul marciapiede, donne in lacrime, sgomento, indignazione, dolore. Prima di Alika Ogorchukwu, l’ambulante nigeriano di 39 anni pestato a morte nel centro di Civitanova, nelle Marche ci sono stati altri due gravi fatti di cronaca che hanno visto come vittime i migranti: Emmanuel Chibi Namdi, anche lui nigeriano, morto il 5 luglio 2016 a 36 anni a Fermo dopo una colluttazione con un italiano vicino alla fermata dell’autobus, e il raid anti-migranti a colpi di pistola di Luca Traini, che il 3 febbraio 2018 ferì sei persone di colore nelle strade di Macerata. Il caso di Alika ucciso ieri da un 32enne che lo ha aggredito per futili motivi, picchiandolo prima con la sua stampella e poi a mani nude li ha fatti tornare alla mente. Emmanuel, in fuga dalla guerra e accolto in una delle strutture che fanno riferimento alla Comunità di Capodarco di Fermo assieme alla sua compagna, morì mentre difendeva la donna dagli insulti razzisti di Amedeo Mancini, che patteggiò una condanna a 4 anni per omicidio preterintenzionale da scontare ai domiciliari. Emmanuel lo aveva aggredito e lui reagì con un pugno che fece finire il 36enne a terra, battendo la testa sull'orlo del marciapiede. Il giudice aveva riconosciuto l'attenuante della provocazione, ma anche l’aggravante dell’odio razziale. Aggravante riconosciuta anche a Luca Traini, oggi 33 anni, di Tolentino (Macerata), condannato a 12 anni di carcere per strage e porto abusivo d’arma. Il 3 febbraio, intenzionato a vendicare la 18enne Pamela Mastropietro, uccisa e fatta a pezzi a Macerata da un pusher nigeriano, si mise in macchina, sparando con la sua Glock a tutte le persone di colore che incontrò. «Sparare a caso contro chi ha la pelle nera è razzismo», ha sentenziato nel 2021 la Cassazione, confermando la condanna per il giovane di «ideologie nazifasciste». Nell'attacco furono ferite sei persone. Secondo monsignor Vinicio Albanesi, che ha assistito Emmanuel e tanti altri richiedenti asilo, le Marche non sono razziste, semmai «una società chiusa, familista, che non accetta l’estraneo». Il presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli invece intende far costituire l’ente parte civile nel processo per la morte di Alika «per difendere l’identità, i valori e l’immagine dei marchigiani e delle Marche. Siamo da sempre una comunità solidale, inclusiva e vogliamo rimanere tale, con l’impegno di tutti».