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Il Canale di Sicilia come un cimitero, oltre duemila migranti morti verso Lampedusa

Dal Bangladesh all’Egitto, dal Congo alla Somalia, passando per la Siria e il Marocco, sono tantissime, si legge nel report di Mediterranean Hope, le nazionalità che hanno raggiunto l’isola partendo soprattutto dai dintorni delle città costiere di Zuwarah e Zawiyah. Ognuna di queste persone ha una storia alle spalle, spesso tragica. Innumerevoli sono state le testimonianze di torture, rapimenti, lavoro forzato, rapine, violenze e uccisioni. Catturate in mare e respinte nuovamente nei centri di detenzione in Libia, molte persone sono state costrette a pagare per uscire di prigione. In tanti raccontano di averci provato più volte a passare, a arrivare a Lampedusa, in Europa. La seconda rotta che attraversa il Mediterraneo centrale riguarda persone tunisine che si imbarcano lungo la costa orientale, da Mahdia fino a Djerba. L’incremento delle partenze dalla Tunisia si è verificato in corrispondenza dell’aggravarsi della crisi economica e politica, inasprita dalla pandemia. Solo nei mesi estivi di luglio e agosto hanno raggiunto le coste lampedusane 8.118 persone. Più della metà di tutte le 15.238 persone che si sono imbarcate dalla Tunisia durante l’anno.

Nel 2021 hanno raggiunto Lampedusa 32.841 persone. L’isola, distante tra le 60 e le 150 miglia dai porti tunisini e libici più vicini, «in mancanza di un sistema organizzato a livello nazionale o europeo di ricerca e soccorso in mare», afferma Mediterranean Hope, Programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. si conferma essere il punto d’arrivo principale del fenomeno migratorio che interessa il confine del Mediterraneo centrale. Nel 2021 più di duemila persone, secondo i dati forniti dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni, sono morte o disperse nel tentativo di attraversare il Canale di Sicilia per raggiungere l’Italia, mentre sono 193 le persone morte o scomparse durante i primi due mesi del 2022; 16.626 persone sono arrivate a Lampedusa dalla Libia. Molte altre sono state respinte dalla Guardia costiera libica.

I racconti variano, ognuno ha ragioni diverse per partire, ma spesso si tratta di uomini di diverse età in fuga da un presente privo di prospettive. «Lavoravo in un albergo a Djerba», racconta un uomo tunisino sulla quarantina, «poi con la pandemia il settore turistico è rimasto schiacciato, non posso più lavorare e sono partito». «Non hai idea di quanto costi il pane, non mi posso permettere di comprare il pane per la famiglia», racconta sempre un altro uomo poco prima di salire sui furgoni insieme alla famiglia per essere trasferiti all’hotspot di contrada Imbriacola. Sempre dalla Tunisia, tante persone provenienti per lo più dalla Costa d’Avorio, dalla Guinea, dalla Sierra Leone, dal Senegal e dal Mali, dopo un periodo più o meno lungo passato in Tunisia si imbarcano nei dintorni della città costiera di Sfax, nel sud del Paese, su imbarcazioni malridotte e stipati all’inverosimile. Tra loro molte donne, spesso accompagnate da bambini. Gli eventi tragici che sono capitati nei dintorni di Lampedusa durante il 2021 riguardano spesso proprio queste imbarcazioni. Dopo il naufragio del 30 giugno in cui 16 persone sono morte a poche miglia dall’isola, una donna tra i sopravvissuti avvolta nelle coperte termiche si guarda attorno e dice «è il posto più bello del mondo», poi il suo volto si illumina perchè accanto a lei è comparso un ragazzo con cui si abbraccia, in lacrime. Era il fratello, soccorso da un’altra barca della Capitaneria di porto e arrivato al molo poco dopo di lei.
In questi ultimissimi giorni, tra l’11 e il 12 marzo, sono approdate a Lampedusa su cinque diverse imbarcazioni 127 persone. Quattro di queste provenivano dalla Tunisia mentre una era partita dalla Libia. «Non avevo idea che attraversare il mare fosse così pericoloso», racconta un ragazzo appena arrivato. Spesso chi parla arabo quando scende e tocca finalmente la terraferma, alla domanda «com'è andato il viaggio?», rispondono: «Ho visto la morte».

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