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La cucina Kosher sbarca in Sicilia Business miliardario nel mondo

A Marsala nasce un progetto per trasformare i prodotti coltivati nell'Isola in ingredienti adatti alla cultura alimentare ebraica, una delle più importanti al mondo

Mangiare kosher in Sicilia e trasformare i prodotti coltivati nell'Isola in ingredienti adatti alla cultura alimentare ebraica, potrebbe consentire alle imprese della Regione di entrare a far parte di un mercato mondiale che vale 45 miliardi di dollari. Si prefigge questo fine il progetto «Sicilian kosher food», presentato all'istituto agrario di Marsala, che è anche all’origine di alcuni gemellaggi tra città siciliane e israeliane.
I promotori sono Massimo Plescia, Andrea Monteleone e Nino Sucameli che, nell'ambito del seminario «Dieta Mediterranea: una nuova opportunità per le imprese dell'agroalimentare», promosso da Sdi con il sostegno di Fondimpresa, hanno invitato David Hassan, esponente della comunità ebraica di Milano che opera nel kosher food trading, a spiegare le caratteristiche della cucina kosher e le rigide regole da seguire. «Kosher significa «idoneo» per coloro che praticano la religione ebraica – chiarisce Hassan –. Cioè il cibo deve rispondere a dei parametri precisi. In genere il 90% dei vegetali è già kosher per default, fanno eccezione le verdure che hanno dei parassiti. Infatti, secondo la nostra religione se una foglia viene contaminata, anche solo da una lumaca, va buttata per intero. Lo stesso vale per la frutta bacata da vermi. Le carni, invece, si possono mangiare sono se bovine e ovine, capriolo e cervo compresi, purché non siano stati cacciati violentemente e solo se hanno subito la macellazione rituale. Quest’ultima comporta che agli animali venga recisa la carotide con un coltello molto affilato, cosicché esca tutto il sangue molto velocemente. Non affluendo più al cervello, e cessando di battere il cuore l’animale va in stato di incoscienza senza patire. È una procedura che si segue da tremila anni e per noi è una garanzia» sottolinea.
Sono banditi il cavallo, il cammello, l'asino e il maiale perché considerati impuri e perché «per la religione ebraica si può mangiare solo l'animale che sia ruminante e abbia l'unghia fessa» che significa che lo zoccolo è spaccato. È scritto nel Pentateuco della Torah, il libro della legge. Un’altra regola è che non si cucina il latte con la carne perché potrebbero essere della madre e del suo vitello e sarebbe quindi un incesto. «Kosher – conclude - si rifà, infatti, all'etica. L'idea è che il corpo sia sacro e ciò che si immette in esso non debba far male né alla carne né allo spirito. Anche l’uovo, quando contiene al suo interno una goccia di sangue non può essere mangiato, perché significa che è fecondato, e cioè che al suo interno c'è vita». Polli e uccelli vanno bene se macellati secondo il rituale. Il pesce è concesso solo quello con lische e squame, non crostacei e non molluschi. Il formaggio si mangia a condizione che la produzione usi caglio vegetale o di animale kosher.
«La dieta mediterranea e quindi le produzioni agroalimentari siciliane sono già adeguatamente pronte per ottemperare alla richiesta di questo mercato, - spiega Massimo Plescia, amministratore di Sdi che partecipa al piano formativo Giara che ha reso possibile il progetto - purché siano adeguatamente certificate. È un'idea in nuce che potrebbe già trovare sponda in un gemellaggio tra il comune di Marsala e la città di Haifa. La Sicilia potrebbe prestarsi perfettamente per i prodotti naturali di cui è ricca, ulivi, legumi, vigne e pesce e le nostre caratteristiche climatiche sono ideali allo scopo. L'organismo garante del rispetto delle regole, della filosofia kosher, sono i rabbini stessi ma serve anche un gruppo professionale in grado di affiancare le imprese siciliane nel percorso di certificazione e perfezionamento. Vogliamo stimolare le aziende dell'Isola alla produzione di ingredienti corretti per la religione ebraica, al fine di estendere la loro rete di vendita ad un mercato mondiale prezioso, che vale ben 45 miliardi di dollari».

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