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Pasta al pomodoro, mito intramontabile Ecco come è vista dai grandi chef

Le versioni sono infinite ma il piatto simbolo della cucina italiana non è così banale come sembra. Ecco alcune proposte con pochi semplici dettagli

PALERMO. Gli italiani a tavola sono sempre stati esigenti, anche nelle cose più semplici come un piatto di spaghetti con il pomodoro, consumato con gli ingredienti giusti e un filo d'olio extravergine. Una prelibatezza che durante l'estate ha accompagnato spesso i nostri pranzi; perché il pomodoro, come ben noto, vive il suo periodo di maggior vigore durante la bella stagione, quando il sole trasmette tutta la sua vitalità nella maturazione di questo ortaggio tanto amato, base di numerose pietanze dal sapore mediterraneo.
Chi ha la fortuna di avere un orto conosce bene il valore di un ingrediente così usato in cucina. Fortunatamente sul nostro territorio c'è abbondanza di pomodori e le coltivazioni biologiche, in armonia con la natura, sono sempre più numerose, e sono ormai diverse le aziende agricole che preparano le conserve con rigore e scrupolo per portare a tavola un prodotto doc anche in pieno inverno.
Ma ritorniamo al pomodoro fresco, appena colto dalla pianta e scopriamo come consumarlo a tavola.
L'immagine più rappresentativa della cucina italiana all'estero è rappresentata senza ombra di dubbio dal classico piatto di pasta con il pomodoro che, guarda caso, accompagnato da qualche profumata foglia di basilico, ricorda anche i colori della nostra bandiera. Chiaro che le varianti sono infinite, ma è bene precisare che il piatto non è così banale come sembra. E ce lo confermano alcuni rinomati chef che al pensiero della pasta con il pomodoro hanno riportato alla memoria gli odori della cucina di casa della loro adolescenza. Perché il gusto della salsa fresca non ha paragoni, ma il connubio con una pasta che ben si adatti a trasferire l'umore del pomodoro è essenziale per deliziare i palati più sensibili.
Pino Cuttaia, chef al ristorante La Madia di Licata, esordisce così: «Ognuno di noi ha il suo pomodoro, questo vuol dire che prendendone uno da un grappolo, sceglierà quello che più lo soddisfa e farà un sugo diverso, legato alla memoria. Perché osservando un pomodoro fresco viene subito in mente il sugo che faceva la mamma. Non può esserci una codifica, basta un gesto, un tegame, per cambiare il risultato. Ma si cucina anche in base ai gusti del commensale: il pomodoro può essere a pezzi, con la pelle, senza semi o passato. Rigorosamente però il basilico non deve mancare. In Trentino magari mettono il timo o la maggiorana, ma da noi il miglior compagno per il pomodoro è il basilico o al massimo l'origano».
Ricordi primordiali anche per Patrizia Di Benedetto, chef del Bye Bye Blues di Mondello: «Quando si parla di pasta al pomodoro la mente vola subito all'infanzia, e per me che sono nata a giugno, il profumo del pomodoro che cucina e del basilico hanno sicuramente un valore particolare. Credo che sia uno dei primi profumi che ho imparato a riconoscere. Ricordi legati ai primi anni di vita, dalla memoria di mia madre che preparava quei pentoloni enormi pieni di pomodoro. Adesso che magari gli usi sono cambiati, queste cose non hanno più lo stesso valore e per problemi di tempo e di comodità, si ricorre sempre più spesso ai prodotti pronti, ma nella mia cucina, quando è il periodo giusto la salsa viene sempre preparata con il pomodoro fresco, la cipolla ed il basilico e con una lunga cottura a fuoco lento; personalmente sono sempre contraria all'aggiunta di zucchero, ma magari si può correggere l'acidità con un pizzico di bicarbonato. Sugli spaghetti al pomodoro non ci metterei neanche il formaggio per non alterare il gusto».
Dal territorio che ha reso famoso il ciliegino risponde al richiamo Ciccio Sultano, chef del ristorante il Duomo di Ragusa: «La pasta con il pomodoro può essere di tre tipi: le reginette che faceva la nonna, i maccaruni grossi, o gli spaghettoni. Va condita, dopo aver assaggiato tre o quattro spaghettate, con una spolverata di caciocavallo ragusano Dop stagionato. Una variante della nonna prevede il finocchio selvatico bollito e poi fritto, con l'aggiunta di mollica abbrustolita».

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