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Ius sportivo, cos'è e perché Malagò vuole l'istituzione in Italia

Il presidente del Coni Giovanni Malagò e il presidente della Federazione italiana atletica leggera Stefano Mei festeggiano le medaglie d'oro assieme a Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi

"Non riconoscere lo ius sportivo è aberrante, folle". Lo ha dichiarato il presidente del Coni Giovanni Malagò in conferenza stampa a Casa Italia dopo gli storici successi di Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs a Tokyo. "Dall’Olimpiade una spinta per l’integrazione in un’Italia sempre più multiculturale? Sono anni che c'è una formidabile polemica attorno al tema dello ius soli. Hanno già provato a tirarci per la giacchetta, ma io ho sempre sostenuto una tesi: lo ius soli è tema politico e noi non vogliamo fare politica, ma occuparci solo di sport. Oggi più che mai questo discorso va assolutamente concretizzato. Come? A 18 anni e un minuto chi ha determinati requisiti deve avere la cittadinanza italiana senza dover affrontare una via crucis che spesso fa scappare chi si stanca di aspettare".

"In questo contesto il presidente Draghi ha dato la risposta migliore un quarto d’ora dopo la fine delle gare - ha concluso Malagò - con piacere enorme ci ha chiamato commosso, entusiasta e orgoglioso. Gli ho passato gli atleti e li ha invitati entrambi a Palazzo Chigi al ritorno".

Immediata la replica, su Twitter, del leader della Lega, Matteo Salvini: "Ius Soli? Già oggi, a 18 anni, chiunque può chiedere e ottenere la cittadinanza. Squadra che vince non si cambia!".

La legge, entrata in vigore il 16 febbraio, riconosce il cosiddetto “ius soli sportivo” ovvero la possibilità per i minori stranieri regolarmente residenti in Italia “almeno dal compimento del decimo anno di età“ di essere tesserati presso le federazioni sportive “con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani“. Già alcune federazioni “virtuose” riconoscevano tale diritto ai minori; ad esempio la federpugilato, la federazione dell’hockey su prato e la federazione di atletica leggera, che già da alcuni anni tesserano i minori stranieri residenti in Italia da un periodo più o meno lungo alle medesime condizioni dei cittadini italiani.

Sebbene tale nuova legge, che allarga le maglie dell’accesso allo sport ai giovani stranieri, non possa che essere accolta con favore, si ritiene che alcuni aspetti siano ancora carenti: la limitazione del disposto normativo ai minori che hanno fatto ingresso prima del compimento dei 10 anni è probabilmente dettata dalla presunzione che per un minore entrato in così tenera età il rischio di essere soggetto al traffico illecito di calciatori sia estremamente ridotto. Tuttavia la limitazione determina l’esclusione di molti minori il cui diritto alla parità di trattamento con i minori italiani è garantito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (firmata a New York il 20.11.89 e ratificata dall’Italia con Legge 176/1991), applicabile ai minori di 18 anni. Ciò vale in particolare per i minori titolari di protezione internazionale che, indipendentemente dall’età al momento dell’ingresso, hanno un’esigenza di particolare tutela derivante dal loro status, non potendo esercitare altrove l’attività sportiva a cui aspirano.

Poi c'è il concetto di “regolarmente” residenti che, ove interpretato restrittivamente, richiederebbe che il minore sia titolare di un permesso di soggiorno e sia iscritto all’anagrafe. Ciò determinerebbe un’impossibilità di tesseramento per tutti quei minori che, pur avendo risieduto per molti anni (se non dalla nascita) sul territorio italiano, vista l’assenza di una iscrizione anagrafica o di un permesso di soggiorno valido – peraltro mancanza a loro non imputabile – non potrebbero beneficiare di questa novità. In proposito va sempre ricordato che, come noto, il TU Immigrazione (in conformità ai principi di tutela del minore di cui alla citata convenzione ONU) prevede che il minore non possa mai essere considerato giuridicamente irregolare, indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori. Infatti l’art.19 comma 2 lett. a) TU Immigrazione sancisce il divieto di espulsione dei minori degli anni diciotto, i quali conseguentemente beneficiano, ai sensi dell’art. 28 comma 1 lett a) D.P.R. 394/99 di un permesso di soggiorno fino al raggiungimento della maggiore età. Alla luce di ciò si ritiene che il concetto di regolarmente residenti (che avrebbe dovuto essere meglio espresso con il solo termine “residenti”), debba essere interpretato secondo quanto previsto dall’art. 43, comma 2, c.c. cioè guardando alla dimora abituale (cfr. sul punto l’orientamento della giurisprudenza in materia di cittadinanza nonché l’ art. 33 decreto legge 69/2013) e quindi alla semplice presenza del minore sul territorio, indipendentemente dalla condizione di regolarità o meno del soggiorno dei dei genitori.

Infine la legge non interviene sulla disposizione di cui all’art. 27 comma 5 bis del TU Immigrazione che rimette alle singole federazioni, con amplissima discrezionalità, la facoltà di fissare “criteri generali di assegnazione di tesseramento” per l’attività sportiva retribuita “anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili“: poiché quest’ultima espressione è stata spesso interpretata come tutela dei vivai giovanili nazionali, permane il rischio di disposizioni interne che, quantomeno per l’attività retribuita, favoriscano i giovani italiani anche nei confronti degli stranieri che abbiano fatto ingresso in Italia prima del compimento dei 10 anni.

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