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Berrettini: "A Wimbledon ho scritto un po' di storia del tennis, pronto per rimettermi al lavoro"

Di quanto vissuto a Londra, a Matteo Berrettini resta un delirio di belle emozioni, tra cui è difficile scegliere. Lo dice in un’intervista al Corriere della Sera il primo finalista italiano al torneo di Wimbledon, che nella serata di domenica scorsa ha anche assistito a Wembley al
trionfo della Nazionale di calcio. «Non ho fatto in tempo ad entrare nella lounge alle spalle della tribuna d’onore, che mi è venuto incontro il presidente della Repubblica Mattarella. Lui a me! Mi ha colto di sorpresa... Complimenti, mi ha detto, ho visto i primi due set della tua partita, sei stato pazzesco...», racconta il tennista.

«Essere al centro dell’attenzione non mi piace particolarmente e quando sono troppo esposto mi viene addosso una sensazione di disagio, come se sentissi di non meritarmi tanti complimenti - spiega Berrettini -. Però credo che la finale a Wimbledon abbia scritto un po' di storia del nostro tennis, forse le attenzioni di questi giorni un po' me le sono meritate...».

Gestire le emozioni di una finale sul centrale di Wimbledon, «non è stato affatto facile. Per calmarmi ho pensato alla strada per arrivare fino a lì, al lavoro, alle trasferte, ai mesi lontano da casa e dalla famiglia - sottolinea -. Io sono la dimostrazione che il lavoro paga». Ora «dovrò essere bravo a ricordarmi di essere solo un giocatore di tennis: ho cominciato per il piacere di usare la racchetta, per il divertimento di vincere un match, non certo per avere successo. Non vivo per questo. Questi sono giorni euforici ed è giusto così, ma presto mi rimetterò sotto a lavorare».

In finale in un momento si è trattenuto dallo scagliare la racchetta a terra perché «ci tengo a essere corretto, nei miei confronti e dell’avversario: la sportività, anche nella fatica e nella lotta, per me è fondamentale».

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