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Clima, Mercalli: «Ogni anno è più caldo di quello che lo ha preceduto»

PALERMO. Per fare i conti mancano ormai solo pochissimi giorni ma ormai appare assodato che nel mondo il 2015 sarà più caldo del 2014. Solo di qualche decimo di grado ma c'è un problema: il 2014 è stato già l'anno più caldo da quando i parametri meteo vengono rilevati sistematicamente e in modo globale. Ormai non ci sono più dubbi: ogni anno tende ad essere più caldo di quello che lo ha preceduto. Così, imputare a questi cambiamenti lo strano inverno che abbiamo di fronte non è più una semplice ipotesi ma una certezza. Venti gradi a New York, l'alta pressione bloccata su quasi tutta l'Europa da settimane e, di contro, le alluvioni in Inghilterra. Luca Mercalli è un meteorologo e climatologo notissimo al grande pubblico sia per la sua copiosa attività divulgativa e accademica, sia per la sua partecipazione, da anni, a trasmissioni televisive molto popolari fra le quali Che tempo fa di Fabio Fazio. Ha fondato la Società Meteorologica Italiana e la rivista Nimbus che dirige. «Da parecchi anni - dice - assistiamo a situazioni sempre più estreme. La gente pensa che un fenomeno estremo sia un temporale o un'alluvione. Ma anche il perdurare di situazioni bloccate può essere considerato tale. Ed è dunque una situazione estrema quella cui stiamo assistendo da settimane».

Che cosa sta succedendo?
«C'è una presenza anomala di un campo di alta pressione che inibisce in parte la dinamica dell'atmosfera. C'è, cioè, l'aria ferma con la conseguenza di elevati fenomeni di subsidenza. L'aria viene schiacciata al suolo dalla pressione e non si muove più. Così si presentano le nebbie ma, ciò che è più grave, si accumulano i fattori inquinanti che non vengono dispersi. Quello che sta succedendo al Nord, dove la presenza delle "polveri sottili" ha abbondantemente superato i livelli di guardia, è proprio questo. E' un tipo di inquinamento oltremodo pericoloso e questo ha suggerito provvedimenti estremi come il blocco della circolazione totale o il suo ridimensionamento col ricorso alla circolazione a targhe alterne».

Quanto durerà?
«Io credo che tutta questa settimana continueremo ad essere interessati dal campo di alta pressione. Ma già da mercoledì l'arrivo di una ventilazione fredda da Nord Est dovrebbe fare abbassare i livelli di concentrazione degli inquinanti. Ma la durata di queste condizioni conferma che siamo di fronte a un fenomeno estremo. E su tutto il pianeta si vanno infittendo questi episodi di picchi di tempo bloccato e ciò che si percepisce è la frequenza dei fenomeni legati al caldo».

Anche quest'anno, dunque, è destinato a frantumare tutti i record?
«La misurazione sistematica dei parametri meteorologici risale alla metà dell'Ottocento. Ma in Europa e, particolarmente, in Italia si conservano serie storiche che risalgono alla metà del Settecento. Anche a Palermo, a cura dell'osservatorio di Palazzo dei Normanni. Attualmente il 2015 si candida a presentarsi come il più caldo nel mondo mentre, probabilmente, in Europa il 2014 conserverà il suo primato. E le conseguenze già si segnalano in modo deciso. Anche negli aspetti più sorprendenti. Per esempio nel Nord Italia sono arrivati già da tempo i pappataci e la Zanzara Tigre che prima non esistevano».

Il riscaldamento globale e i conseguenti cambiamenti climatici sembrano ormai un fatto indiscutibile. Eppure il tema è al centro di discussioni molto animate sia in ambito scientifico che politico. Lei da che parte sta?
«Il cambiamento è sotto gli occhi di tutti e chi lo nega vuole solo fare confusione. Lo dimostra il fatto che due settimane fa 196 Paesi del mondo a Parigi hanno concordato sul fatto che il problema è reale e che bisogna assolutamente trovare un modo per garantire al Pianete uno sviluppo eco sostenibile».

Da dove cominciare?
«Un altro dato che ormai da tempo viene considerato come un fatto indiscutibile è che il maggiore fattore inquinante dell'atmosfera è la combustione dei fossili. Che non vuol dire solo auto e aerei ma anche sistemi di riscaldamento e tutto ciò che funziona con l'impiego di energia prodotta bruciando combustibili fossili. Inutile girarci intorno. Quindi per trovare soluzioni, sappiamo perfettamente da dove cominciare. A Parigi quasi tutti i governi del mondo hanno capito e finalmente si è trovato il modo di superare gli ostacoli che impedivano la messa a punto di un documento comune. Si è detto che occorre urgentemente limitare l'aumento della temperatura a non più di due gradi. Ma l'accordo, che è già un successo, di fatto arriva a tre. Se non vogliamo arrivare a cinque è indispensabile che i patti vengano rispettati. Deve essere chiaro che il danno c'è già ed è irreparabile. Dovremo fare in modo di non aumentarlo».

Ci sono Paesi in via di sviluppo, la Cina innanzitutto, che imputano all'Occidente di chieder loro la politica delle vacche magre dopo avere praticato per secoli, nei loro Paesi, quella delle vacche grasse. Le maggiori resistenze vengono da lì.
«Posso capire. Non è un argomento privo di ragioni. Ma questi Paesi non risolveranno i loro problemi di sviluppo commettendo gli stessi errori dell'Occidente. Al contrario: prendano esempio da quello che è successo qui. Pechino soffocata da un inquinamento inestirpabile non si può guardare e siamo già ben oltre il rischio potenziale».

Qual è l'attuale "stato dell’arte" nelle tecnologie nel campo delle energie rinnovabili?
«Si fanno passi avanti. Il problema principale è quello di trovare un sistema efficiente e a basso costo nella conservazione dell'energia prodotta con questi sistemi. Produrla con l'eolico, il solare, le biomasse si avvale ormai di tecnologie molto efficienti. Ma quando si tratta di conservare l'energia prodotta oltre il proprio fabbisogno, allora il discorso si complica e in quel campo bisogna ancora lavorare molto. Ma ciò vuol dire che bisogna investire nella ricerca».

Il nucleare?
«Beh, dopo quello che è successo in Giappone dopo lo tsunami è il caso di sottolineare il fatto che anche il nucleare costituisce un grande rischio. Senza contare che i costi sono proibitivi e c'è l'enorme problema della conservazione e dello smaltimento delle scorie. Certo i Paesi che già lo impiegano non possono consentirsi di smantellarlo d'un colpo. Ma forse è bene lasciare che queste strutture, che hanno anche loro un "tempo di vita", concludano il loro ciclo. Non mi pare il caso che si impieghino risorse per un loro ulteriore sviluppo togliendole alla ricerca sulle fonti rinnovabili».

Che anno ci aspetta?
«No, io le posso dire, al più, che settimana ci aspetta. Sulle previsioni stagionali o, comunque, a lungo termine nessuno si può credibilmente avventurare. I livelli di conoscenza in questo campo sono ancora bassi e rendono queste previsioni del tutto inaffidabili».

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