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Firmato a Parigi uno storico accordo sul clima

PARIGI. Dopo anni di negoziati la  Conferenza Onu di Parigi ha approvato stasera in un tripudio di  applausi uno storico accordo sul clima per fermare il  surriscaldamento del Pianeta. «Devo battere con il martello, è un piccolo martello ma credo  possa fare grandi cose», ha commentato il presidente della Cop  21, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, dopo aver  celebrato con abbracci e lacrime l'approvazione di quello che  Francois Hollande ha definito «un accordo che vale per un  secolo». Un'intesa «giuridicamente vincolante» nel processo di  dichiarazione dei «contributi nazionali», verifica quinquennale  e aggiornamento, oltre che per i meccanismi di trasparenza.

«Siamo nella storia, e a questa storia ha contribuito anche  l'Italia», ha commentato il ministro dell'Ambiente Gian Luca  Galletti, mentre il premier Matteo Renzi ha definito l'intesa un  «passo avanti decisivo». Di «accordo storico» ha parlato anche  il premier britannico David Cameron, mentre per Barack Obama è  un risultato «enorme», frutto della «leadership americana».   È un exploit», ha esultato anche il ministro dell'Ambiente  lussemburghese Carole Dieschbourg, in rappresentanza della  presidenza dell'Ue, per cui «questo è il successo dell'Europa,  di tutti i Paesi coinvolti nel processo, della società civile e  di tutti quelli che ci hanno aiutato ad arrivare a questo  accordo ambizioso, vincolante e giusto». «Per oggi festeggiamo,  da domani dobbiamo fare», ha aggiunto il commissario europeo  all'Energia, Miguel Arias Canete.

Non solo Europa e pochi altri come a Kyoto. Stavolta  l'accordo ha raccolto un consenso quasi generale, anche dai  'grandi inquinatorì, Usa, ma soprattutto i paesi definiti in  via di sviluppo Cina e India, che hanno voluto esprimere il  proprio apprezzamento davanti alla plenaria. Unica stecca nel  coro il Nicaragua, che ha rifiutato di sostenere il consenso e  ha denunciato alcune mancanze nel testo, in materia di  «ambizione» e di garanzie sui finanziamenti, chiedendo di creare  un «fondo di compensazione» legato alla «responsabilità storica»  e che anche i Paesi del Centroamerica siano inseriti tra i più  vulnerabili.

In materia di contenuti, l'accordo è un sottile esercizio di  diplomazia applicata. La soglia per il riscaldamento globale è  fissata «ben al di sotto dei 2 gradi», ma prevede anche un  impegno a «fare sforzi per limitare l'aumento a 1,5», in linea  con le richieste degli Stati insulari. Sulla riduzione delle  emissioni, invece, si 'accontentanò i Paesi produttori di  idrocarburi, a cominciare dall'Arabia Saudita. Il testo non  parla di «neutralità carbonica», ma di «equilibrio fra emissioni  da attività umane e rimozioni di gas serra», e non fissa una  timeline precisa, limitandosi a imporre di «raggiungere il picco  il più presto possibile» e poi accelerare per arrivare  all'equilibrio «nella seconda metà di questo secolo». Molto si  dovrà fare per la transizione verso le energie pulite.

Sui finanziamenti, il punto più scottante, ai Paesi avanzati  viene ribadito l'obbligo di «fornire risorse» per supportare  quelli in via di sviluppo, e chiesto di stilare una «roadmap  precisa» per arrivare a mobilitare 100 miliardi di dollari  l'anno da qui al 2020. Spariscono però tutti gli aggettivi  proposti nella bozza per definire queste risorse, tra cui  «adeguate» e «accessibili», ma anche «nuove» e «incrementali», e  non ci sono vincoli sulla suddivisione dei fondi tra mitigazione  e adattamento. Su un possibile allargamento della lista dei  donatori ai Paesi emergenti, l'accordo si limita a incoraggiare  «altre parti a fornire o continuare a fornire questo supporto in  modo volontario».     Il passaggio che lascia gli osservatori più delusi è senza  dubbio quello sui cosiddetti 'loss and damagè, ovvero sui fondi  ai Paesi più vulnerabili per far fronte ai cambiamenti del clima  già «permanenti e irreversibili» e troppo intensi per «qualsiasi  forma di adattamento». L

a «vittoria enorme» di ottenere un  articolo specifico dedicato a questo tema viene infatti  ridimensionata da un meccanismo che, secondo le Ong del Climate  Action Network, non dà «garanzia di assistenza» ai più colpiti.      A ciò si aggiunge la precisazione che questo articolo «non  implica nè contiene basi per alcuna responsabilità giuridica o  compensazione», punto imprescindibile per gli Stati Uniti, che  vogliono evitare che si possa usare l'accordo odierno come base  per cause contro le aziende più inquinanti.

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