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I migliori chef secondo le guide: due siciliani tra i primi 15 d’Italia

La graduatoria è stata stilata mettendo a confronto le valutazioni espresse dai manuali specializzati. I protagonisti: «Il nostro lavoro è una scelta di vita. È la cultura del cibo che fa la differenza a tavola»

PALERMO. Pino Cuttaia de «La Madia» di Licata, in provincia di Agrigento, e Ciccio Sultano del «Duomo» di Ragusa. Sono loro i due chef siciliani che rientrano tra i primi quindici posti come i più premiati d’Italia da guide autorevoli gastronomiche come Espresso, Gambero Rosso, Touring Club Italiano e Guida Michelin. Sono loro che arrivano prima dello stesso Carlo Cracco. È quanto emerge dall’indagine condotta da Italia a Tavola, quotidiano di enogastronomia diretto da Antonio Lupini, secondo la graduatoria stilata con la media ponderata dell’ultima edizione di queste quattro guide, uniformando i diversi metri di valutazione. I «cappelli» de l’Espresso, le «forchette» del Gambero Rosso, l’«Olimpo della Ristorazione» del Touring Club Italiano e infine le «stelle» Michelin, sono la cartina di tornasole del loro lavoro e, nella maggior parte dei casi, unanimi nello stabilire voti e punteggi.

Ci sono anche Vincenzo Candiano (al 45esimo posto) della «Locanda di don Serafino» di Ragusa e, per citarne altri ancora, David Tamburini de «La Gazza Ladra» di Modica, Pietro D’Agostino de «La Capinera di Taormina» (ME), Patrizia Di Benedetto di «Bye Bye Blues» di Mondello (PA).  Mix vincente di innovazione e rispetto della cultura culinaria e dalla convinzione che, per creare la grande cucina, occorrono ingredienti scelti con cura oltre che la sapienza di utilizzarli e accostarli con sensibilità e passione. «Il lavoro del cuoco? È una scelta di vita». A dirlo Pino Cuttaia, alla nona posizione della classifica. Adottato dal Piemonte per circa vent’anni, torna in Sicilia «con una marcia in più: il rigore. Avevo capito che il sud e questa terra mi avrebbero dato l’occasione di raccontare la mia storia attraverso il cibo, in linea con una cucina contemporanea». Se un cuoco ha voglia di comunicare: «entri necessariamente in un percorso di filosofia che ti porta attraverso il gesto, la curiosità e il rigore, a un dialogo continuo con l’ingrediente. Dove la forza è la stagionalità».

E se l’Italia è ancora un passo indietro nella rimozione del pregiudizio che la cucina migliore sia ancora quella della nonna, ottima ma non in grado di stupire il mondo, «è la cultura che fa la differenza a tavola. Quando un cliente arriva, chiede semplicità senza fronzoli e soprattutto freschezza e sapori. Una cucina non contaminata, insomma, e soprattutto non globalizzata. Distante da tutto e da tutti. Il cuoco deve avere coscienza; il cliente deve possedere la cultura del cibo. Ci vuole curiosità e sapere». E se per Cuttaia il futuro sta in un cammino consapevole di una identità culinaria, per Ciccio Sultano (al 15esimo posto), «è il dialogo continuo con il territorio il segreto del successo, facendo una buona cucina con un margine di errore pari a zero. Sono le materie prime a fare la differenza».

Perché la cucina di errori non ne ammette. «Il difficile non è ottenere un riconoscimento, per noi sicuramente gratificante. Ma mantenerlo per anni. Questo ci porta a una continua crescita. C’è chi è più tradizionalista e chi più innovativo. Chi azzarda di più e chi meno. Quello che conta è lavorare bene e avere un team affiatato». Ed essendo dei valori perlopiù internazionali, «essere inseriti in guide autorevoli è come ottenere l’oscar del cibo tenendo alto il made in Italy siciliano».

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