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Tumore al polmone, meno morti con l'immunoterapia

Fonte Pixabay

COPENAGHEN. Passo avanti decisivo nella lotta contro il cancro al polmone grazie all'immunoterapia, che mira a stimolare il sistema immunitario a combattere il tumore: una nuova molecola immunoterapica, pembrolizumab, ha infatti dimostrato di diminuire del 40% il rischio di morte nei pazienti rispetto alla chemioterapia tradizionale a base di platino, sostituendosi alla chemio - che ha una minore tollerabilità e più effetti collaterali - come trattamento di prima linea, ovvero subito dopo la diagnosi.

Un risultato che, affermano gli esperti, promette di cambiare la lotta a questo tipo di neoplasia, che si attesta come la terza per incidenza in Italia con più di 41mila nuove diagnosi stimate nel 2016. E tutto ciò con un risparmio anche per il Servizio sanitario nazionale. I risultati arrivano dallo studio Keynote-024 che ha coinvolto 305 pazienti, presentato in sessione plenaria al Congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo) e pubblicato oggi in contemporanea sulla rivista The New England Journal Of Medicine.

Pembrolizumab ha dunque dimostrato di migliorare sia la sopravvivenza libera da progressione della malattia che la sopravvivenza globale. In particolare, lo studio ha coinvolto 305 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in fase avanzata (con la particolare espressione della proteina PD-L1 sulle cellule tumorali superiore o uguale al 50%) e ha evidenziato una sopravvivenza libera da progressione di 10,3 mesi nei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto a 6 mesi con la chemioterapia e una sopravvivenza globale a 6 mesi dell'80,2% rispetto al 72,4%. Siamo «di fronte a dati che non si limitano a una significatività statistica, ma implicano un impatto concreto nella pratica clinica quotidiana - afferma Silvia Novello, oncologa all?Università di Torino -. Il 60-70% delle neoplasie polmonari è diagnosticato in fase avanzata. L'immuno-oncologia finora ha mostrato risultati positivi in seconda linea e prevalentemente nei pazienti con istologia squamosa. Ora queste armi dimostrano di essere efficaci in prima linea, quindi al momento della diagnosi, e anche nell'istologia non-squamosa, che rappresenta la grande maggioranza dei pazienti. Il vantaggio per i pazienti è significativo perchè, se rispondono a determinati requisiti, possono evitare la chemioterapia e aver accesso a farmaci innovativi caratterizzati da una tollerabilità migliore».

Il tasso di risposte si è rivelato essere più alto nei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto alla chemioterapia (44,8% vs 27,8%) e gli eventi avversi meno frequenti.

I dati, poi, «sono impressionanti se si analizzano le curve di sopravvivenza riferite ai pazienti selezionati in base alla maggiore espressione di un biomarcatore, ossia la proteina PD-L1, sulle cellule tumorali - sottolinea Novello -. L'immuno-oncologia ha cioè bisogno dei biomarcatori, potenziali strumenti per identificare in anticipo le persone in cui queste terapie possono essere efficaci».

Inoltre, i vantaggi in termini di risparmi sono evidenti: «Sarà infatti possibile in questo modo razionalizzare le risorse - conclude l'oncologa - perchè potremo trattare con il farmaco giusto i pazienti selezionati in base alla espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali e continuare il percorso nella medicina di precisione».

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