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Beni confiscati, stop a nomina di parenti
Nel codice spunta la "norma Saguto"

Silvana Saguto

ROMA.  Nel codice antimafia entra la «norma Saguto». Un emendamento del governo al codice approvato che oggi era all'esame dell'Aula della Camera impedisce la nomina ad amministratore giudiziario di beni confiscati alla mafia non solo ai parenti ma anche ai «conviventi e commensali abituali» del magistrato che conferisce l'incarico. L'aula ha detto sì al codice antimafia in serata. Il testo, approvato a Montecitorio con 281 voti a favore, 66 contrari (Fi e M5S) e due astenuti, passa al Senato.

L'emendamento del Governo, riferito all'articolo 13, relativo all'amministrazione dei beni sequestrati, che deve essere ancora esaminato dall'Aula, è stato annunciato questa mattina alla ripresa dell'esame del testo. In particolare, esso prevede che «non possono assumere l'ufficio di amministratore giudiziario nè di coadiutore o diretto o collaboratore dell'amministratore giudiziario il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o commensali abituali del magistrato che conferisce l'incarico».  Il riferimento della norma è chiaramente alla vicenda che ha interessato Silvana Saguto, l'ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo sospesa dalle funzioni e indagata per corruzione assieme all'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e al marito di lei Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni.

Proprio ieri era in dirittura d'arrivo il nuovo Codice Antimafia in esame alla Camera con cui governo e maggioranza prevedono uno stretta sui beni dei clan, aumentando allo stesso tempo le tutele per i dipendenti delle aziende sequestrate. Si aspettava l'ok oggi alla Camera e l'ultimo nodo era rappresentato proprio dalla norma sui beni confiscati. Ieri infatti i primi 12 articoli del testo hanno visto il sì dell'Aula e i lavori si sono interrotti sul nodo degli amministratori giudiziari dei beni confiscati, complice l'eco del caso Saguto, l'ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo sospesa dalle funzioni e indagata per corruzione.

E proprio il numero degli incarichi e i criteri con cui affidarli sono stati al centro di tensioni tra la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi e il resto del Pd. Bindi aveva presentato un emendamento in cui, oltre ai «criteri di trasparenza, nonchè di corrispondenza tra i profili professionali e i beni sequestrati» si prevede che, nella scelta dell'amministratore giudiziario, si tenga conto del valore dei beni assegnati. La commissione Giustizia, in Aula, ha invece proposto una riformulazione dell'emendamento, con l'inserimento di un numero massimo di incarichi pari a tre. Fermo, però, è stato il 'niet' di Bindi, che ha portato all'accantonamento dell'emendamento. «Mettere un numero è una bandierina e permette di aggirare criteri qualitativi ben più stringenti», spiega la deputata Dem.

Ben diversa la posizione del collega Giuseppe Lauricella, secondo il quale la previsione di un tetto numerico pone comunque un limite, laddove lo stesso testo, per le amministrazioni di straordinaria entità disciplina il «divieto di cumulo». Accantonato, inoltre, un emendamento 5S secondo il quale non possono essere nominati amministratori «coniuge, parente, affini e conviventi del giudice che dispone la nomina». «Il tema delle incompatibilità degli incarichi esiste. Va esplicitato cosa vuole il Parlamento sul tema delle incompatibilità: il ministero recepirà questo criterio», ha spiegato in Aula Cosimo Ferri, sottosegretario della Giustizia, dicendosi favorevole all'accantonamento.

Tra i punti incassati c'è l'allargamento della platea dei destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali ai soggetti indiziati di aver commesso reati contro la Pubblica amministrazione e a quelli di aver favorito un latitante. Oggi in Aula approda l'art.15 sul quale la commissione Bilancio è intervenuta in maniera 'pesantè sostituendo la previsione del Fondo per il credito con un'indicazione precisa - 10 mln all'anno per il triennio 2016-18 - delle coperture per la gestione delle aziende confiscate. Gestione in merito alla quale l'art.15 prevede anche il possibile coinvolgimento di dipendenti di Invitalia. Punto sul quale il M5S promette battaglia parlando di «scempio» e attaccando: «Invitalia è un carrozzone fallimentare», sostiene Riccardo Nuti.

L'EMENDAMENTO. Gli immobili confiscati alla mafia dallo Stato potranno essere concessi in affitto a personale delle Forze di Polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Lo prevede un emendamento della Commissione al Codice antimafia, approvato ora dall'Aula di Montecitorio. Gli affittuari degli immobili confiscati, secondo l'emendamento approvato dall'Aula della Camera, potranno provvedere a proprie spese a ristrutturarli se le amministrazioni assegnatarie non dispongano delle risorse necessarie e approveranno il progetto esecutivo dei lavori ed il piano dettagliato di spesa. In quel caso, sarà possibile una compensazione delle spese sostenute per la ristrutturazione sostenute dagli agenti, dai militari o dai funzionari assegnatari: andranno a valere sul canone di affitto. Gli immobili potranno essere affittati ai dipendenti delle forze di polizia, delle forze armate e dei Vigili del fuoco per quattro anni prorogabili per non più di due volte.

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