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L'addio di Caterina Chinnici subito dopo quello del senatore Borghi: il Pd teme altri abbandoni

Caterina Chinnici

Due addii in due giorni. Dopo il passaggio a Italia Viva del senatore Enrico Borghi, anche l'eurodeputata Caterina Chinnici ha lasciato il Pd diretta - pare - a Forza Italia. Sono smottamenti, sfilacciamenti legati ai maldipancia di quell'area che - usando le parole di Borghi - accusa Elly Schlein di aver provocato una «mutazione genetica» nel partito.

La risposta della segretaria è arrivata in differita, con un’intervista rilasciata nei giorni scorsi a Vogue e pubblicata nelle ultime ore. Schlein ha rivendicato «il metodo dell’ascolto anche delle opinioni diverse: ho sempre voluto che nella mia squadra ci fosse qualcuno che non la pensava come me - ha detto - che fosse un po’ più conservatore, così da decidere con equilibrio». Come a dire: nel mio Pd c'è posto per tutti. Che poi è la linea seguita da Schlein per comporre la segreteria, dove sono rappresentate varie anime del partito.

Fra i dem, però, serpeggia il timore che quelli di Borghi e Chinnici possano non essere gli ultimi abbandoni. Fra chi non ha più incarichi parlamentari, ci sono già stati quelli dell’ex capogruppo al Senato, Andrea Marcucci e dell’ex ministro Giuseppe Fioroni. «Nella segreteria Schlein - ha detto Fioroni a L’Identità - i cattolici, i popolari e i liberal-democratici sono ospiti paganti, ma col tempo saranno sgraditi e anche ingombranti».

L'uscita di Caterina Chinnici, che a settembre aveva sfidato il forzista Renato Schifani per la guida della Regione Siciliana, è arrivata a ruota a quella di Borghi. «Immagino che Borghi abbia maturato la scelta da solo - ragionava un parlamentare Pd in Transatlantico - ma il suo rilievo e la sua storia nel partito possono indurre interrogativi in altri. Molto dipenderà dalle risposte che nelle prossime settimane Schlein saprà dare a una certa area del partito».

La deputata Marianna Madia che, insieme alla collega Lia Quartapelle, ha organizzato un ciclo di seminari per «rispondere al vuoto del governo», ha presentato l’iniziativa con parole che hanno avuto il suono di un controcanto alla strategia di Schlein: «Al prossimo test elettorale - ha detto Madia - vinciamo non solo con il confronto tra leadership, non solo stando in piazza, non solo rispondendo con un governo ombra alle non proposte del governo» ma «guidando l’agenda politica». Un altro campanello, insomma. In Transatlantico, intanto, è partita la ridda di voci sui pronti a lasciare.

Fra i nomi è circolato anche quello del deputato Piero De Luca: «Assolutamente no», ha smentito lui. «Mi sento una riformista - ha scritto l’eurodeputata Alessandra Moretti - e continuerò a stare in questo partito che è anche la nostra casa, come lo è sempre stata in ogni fase». Per il deputato Matteo Orfini, uscire adesso «denunciando una mutazione genetica del partito è onestamente incomprensibile. E strumentale. Nel Pd c'è spazio per tutti, c'è pluralismo e confronto». A riassumere l’umore degli esponenti dem vicini alla segretaria è stata la vicepresidente del partito, Chiara Gribaudo: «Addii al Pd? Francamente sono amareggiata come tutti ma, citando Guccini, “ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me che cos'è la libertà”».

Nell’intervista a Vogue, Schlein ha rivelato anche qualche dettaglio personale, raccontando che la sera cerca «di decomprimere» guardando «una serie tv oppure giocando alla PlayStation». Le «scelte di abbigliamento - ha poi spiegato - dipendono sicuramente dalla situazione in cui mi trovo. A volte sono anticonvenzionale, altre volte più formale. In generale dico sì ai colori e ai consigli di un armocromista». Un passaggio che ha fatto storcere qualche bocca: «Non mi appassiono alle tonalità cromatiche - ha detto la vicepresidente del parlamento Ue, Pina Picierno -. Quello che conta è che quel cambiamento evocato e necessario» non passi «attraverso il tentativo di cambiamento del partito solo per farlo meglio assomigliare alla propria identità».

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