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Il giorno di Draghi, due piani per uscire dall’impasse

Mario Draghi

I partiti, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, aspettano un segnale dal discorso che farà Mario Draghi in Parlamento. E a quel punto Il premier ascolterà le posizioni dei partiti per vedere se sia maturato quel «fatto politico» nuovo che consenta di ritrovare «l’agibilità politica» senza la quale si rischia di segnare la fine del governo di unità nazionale. La situazione è talmente incerta che, si ragiona in ambienti parlamentari, il presidente del Consiglio starebbe preparando due versioni del discorso. Entrambe decise e circostanziate ma con due finali diversi. Dunque, non è neanche il quinto giorno quello risolutivo. Eppure, si osserva nei capannelli in Parlamento, qualcosa si è mosso.
Sottotraccia restano i timori, di tutti, di rimanere con il “cerino in mano» e vedersi addossare la responsabilità di avere messo la parola fine alle larghissime intese.
Mario Draghi, che finora era rimasto fermo, sulle posizioni , passa all’azione. Riceve di buon mattino a Palazzo Chigi Enrico Letta e poco dopo sale al Quirinale. Nel colloquio di circa mezz’ora con Sergio Mattarella, con il quale condivide la strategia da attuare, illustra al presidente della Repubblica la volontà di andare in Parlamento a fare un discorso «importante e incisivo», come lo descrivono a Palazzo Chigi. Ma le risposte, è il refrain delle ultime ore, dovranno arrivare dai partiti. In Aula.
Il premier ha lavorato al discorso fino all’ultimo. Prepara dunque «un testo A e un testo B», uno per dire resto e uno per dire addio, commentano alcuni senatori. Una ipotesi che non trova conferme a Palazzo Chigi. Ma di sicuro Draghi spiegherà le ragioni che lo hanno portato a un passo dall’addio e rivendicherà il tanto lavoro fatto in 17 mesi per far fronte alla pandemia, e poi alla guerra e alle sue conseguenze economiche. E tornerà a indicare le priorità per il Paese. Starà alle forze politiche, è l’orientamento emerso finora, dare risposte e dare garanzie sulla reale volontà di continuare a sostenere, con unità e responsabilità, l’esecutivo. Altrimenti l’esito non potrà che essere quello delle dimissioni. A fronte delle quali il Quirinale non potrebbe che prendere atto che non ci sono più le condizioni per sciogliere le Camere e andare a elezioni anticipate in autunno (la data cerchiata in rosso sarebbe quella del 2 ottobre), secondo alcuni senza neanche fare ulteriori consultazioni.
L’ora della verità, insomma, si sposta a oggi: un intero pomeriggio di dibattito, e il responso solo a fine giornata dato che il voto di fiducia è previsto alle 19.30 a meno che il premier, non scelga la via delle dimissioni subito dopo aver ascoltato i partiti. Chiaramente, i partiti più «governisti» auspicano che gli spiragli intravisti nelle ultime ore si concretizzino in una soluzione positiva della crisi. Sperano che abbiano fatto breccia gli appelli e il pressing sempre più intenso, interno e internazionale. Certo, avverte Fitch, il quadro resta compromesso anche se Draghi dovesse rimanere, perché resterà «una maggiore incertezza politica anche se venissero evitate le elezioni anticipate». Proprio quello che il premier vuole invece evitare.

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