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Fiducia stretta per Conte con 156 voti in Senato, ma il governo va avanti: bagarre in Aula

Il premier Giuseppe Conte oggi in Senato

Il governo incassa la fiducia al Senato con 156 voti a favore. Ma è scoppiata la bagarre attorno a un voto, quello di Lelio Ciampolillo, ex M5s.

Ciampolillo non ha risposto alle prime due chiamate, ma sul filo di lana, quando la presidente del Senato aveva già chiuso le votazioni ha chiesto di poter esprimere il suo voto. Casellati ha deciso di fermare tutto e ricorrere alla registrazione della seduta prima di decidere se riaprire o meno il voto all’ex senatore del M5S.

Dopo una lunga consultazione, sia Ciampolillo che Riccardo Nencini di Italia Viva sono stati riammessi al voto dando il proprio sì alla fiducia. Dall'esame dei video delle telecamere dell'Aula è stato verificato che i due senatori hanno annunciato il loro voto prima che la presidente del Senato chiudesse la votazione. Protestano Lega e FdI, che annunciano si appelleranno al Colle.
Il premier Giuseppe Conte aveva già lasciato Palazzo Madama. Il capo del governo è andato via prima della proclamazione della votazione ma con il risultato già chiaramente a favore della fiducia. Il verdetto alla fine indica 156 voti per il sì. I no sono stati 140, 16 gli astenuti.

Niente maggioranza assoluta per Conte, ma il verdetto consente al governo di andare avanti, per il momento. Italia Viva conferma l'astensione, in segno di "disponibilità", seppure a tempo, a discutere ancora con la maggioranza. I senatori guidati da Matteo Renzi al momento tengono in ostaggio l'esecutivo giallo-rosso: se si sommassero alle opposizioni, a Palazzo Madama i rapporti di forza cambierebbero (senza Nencini, sono infatti 17 in tutto, contando anche un senatore assente per Covid, e dunque sommati ai 140 no delle opposizioni supererebbero l'attuale maggioranza). In Aula come nelle commissioni, paralizzando l'attività parlamentare.
Che vi sia un "problema di numeri" lo mette a verbale anche il premier: "Se non ci sono, il governo va a casa", dice chiaro e tondo davanti ai senatori. Dove ingaggia anche un duello con l'ormai rivale Renzi: l'ex premier sceglie di intervenire in discussione generale, così da garantirsi la replica del premier.
Lo accusa di "non essere salito al Quirinale per paura" e di chiudersi in "un arrocco dannoso". Come il centrodestra, parla di "mercato indecoroso di poltrone" e con un tono apocalittico torna a ripetere la necessità di un cambio di passo, dalla scuola all'economia, "o i nostri figli ci malediranno", dice.
C'è chi si chiede se il leader di Iv abbia in serbo un cambio di strategia, cercando la rottura definitiva e infischiandosene del rischio diaspora fra i suoi: i parlamentari di Italia Viva si riuniranno poco dopo e confermeranno l'astensione.
Conte riprende la parola e si difende: rivendica il dialogo e ribadisce come la responsabilità della rottura sia tutta sulle spalle di Italia Viva, "difficile governare con chi mina equilibri", attacca.

Occupare "le poltrone" poi non la reputa un'accusa pertinente: l'importante è farlo "con disciplina e onore", come recita la Costituzione. Quello di cui il Paese ha bisogno "è una politica indirizzata al benessere dei cittadini" per evitare che "la rabbia sociale" esploda e si trasformi in "scontro", è la tesi argomentata dall'avvocato. E dunque serve un governo, in grado di agire.
Con il voto a tarda sera si chiude la maratona parlamentare e si apre però la difficile composizione della crisi aperta dal senatore di Rignano con le dimissioni delle ministre una settimana fa.

E ora sarà il momento delle scelte: c'è il ministero dell'Agricoltura da affidare, la delega dei servizi da esercitare e, soprattutto, l'azione del governo da rilanciare con un nuovo patto di legislatura, a partire dal Recovery plan, cercando di allargare la maggioranza a quel drappello di responsabili o 'volenterosi', come li ha definiti il presidente del Consiglio, in grado di traghettare in acque più sicure l'esecutivo. Dieci giorni è l'arco temporale che il presidente del Consiglio si dà per rimettere mano alla sua squadra.
Sono le 9.30 quando il premier si alza nell'Aula del Senato la prima volta ma i pontieri non hanno in realtà mai smesso di tenere i contatti e fare di conto. La senatrice Liliana Segre, classe 1930, scende a Roma da Milano per garantire il proprio sostegno. L'Aula le tributa un lungo applauso al suo arrivo e molte le dichiarazioni che ne apprezzano la scelta. A metà mattinata l'asticella segna quota 153 voti certi in favore del governo, 8 in meno dalla maggioranza assoluta pari a 161 (anche se un senatore 5S è assente giustificato per ragioni di Covid), che metterebbe in sicurezza il Conte II. Alla maggioranza basta, lo vanno ripetendo nei corridoi da giorni, qualche voto in più delle opposizioni per cavarsela. Annunciano il voto favorevole anche il senatore a vita Mario Monti, convinto dalla conversione europeista del premier, la senatrice a vita Cattaneo e Casini.
Non ci sono Renzo Piano e Carlo Rubbia. Ma proprio senatori a vita subiscono l'attacco di Matteo Salvini: tira in ballo Grillo, il leader della Lega e ricorda - scatenando la bagarre nell'emiciclo - quando il fondatore M5S diceva "muoiono troppo tardi" per stigmatizzare la loro discesa nell'arena parlamentare. Per il sì sono poi arruolati, Lonardo (la moglie di Mastella), l'ex M5S Buccarella, Tommaso Cerno che annuncia di tornare nel Pd e De Falco. Durante tutta la giornata si spera anche nell'effetto Polverini (che ha votato alla Camera la fiducia lasciando FI e ritrovandosi al centro di molti gossip): e a sera sono due i senatori azzurri che votano sì, Maria Rosaria Rossi, che è la vera sorpresa, dal momento che era fra le fedelissime di Berlusconi, e Andrea Causin. Espulsi entrambi dal partito, sono un viatico per l'operazione responsabili.

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