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Governo, l'Udc si sfila e ora a Conte mancano i numeri: Pd e 5 Stelle in allarme

Il premier Giuseppe Conte

Il «no» dell’Udc all’operazione costruttori mette paura alla maggioranza. Paura dei numeri al Senato, innanzitutto. Numeri che viaggiano attorno a quota 154, lontano quindi da quella maggioranza assoluta che permetterebbe al premier Giuseppe Conte di uscire da Palazzo Madama più forte di prima. E sono dubbi che, da qualche ora, si respirano anche nelle stanze di Palazzo Chigi senza però, almeno al momento, indurre «l'avvocato del popolo» a cambiare strategia.

E l’obiettivo è quello di avere un voto in più e spostare più avanti la costruzione di una maggioranza solida. Certo anche a Palazzo Chigi - dove si lavora alacremente al discorso da fare in Aula - sanno che arrivare a quota 161 al Senato sarebbe preferibile ma, vista la difficoltà a formare il gruppo dei costruttori, alla fine si accontenteranno anche di una maggioranza relativa. Tanto che, nei corridoi del governo, girano i precedenti di quello che, martedì, potrebbe succedere. E si va dal governo Fanfani II del 1958-59 (la fiducia iniziale ebbe 4 voti in meno di quella assoluta, alla Camera) al governo D’Alema II del 199-200, che alla Camera incassò 310 sì e non 315.

Tutti presupposti che inducono Conte a guardare con prudente ottimismo alla prova dell’Aula. Un ottimismo che, al momento, non invade invece le stanze del Quirinale. Il presidente Sergio Mattarella vigila con intatta preoccupazione sulla crisi e non sembra aver cambiato idea su un concetto: l'invito a non fare maggioranze abborracciate, soprattutto in un momento cruciale per l’Italia alle prese con la pandemia, il Recovery Plan e anche la presidenza del G20. Se il Colle è preoccupato Pd e M5S sono in stato d’allarme.

«L'unico modo per salvare la legislatura è fare come De Filippo», è la battuta che circola tra i dirigenti dem con riferimento al deputato renziano che oggi ha annunciato l’addio a Iv e il ritorno nel Pd. «Ci serve un patto di legislatura e una maggioranza politica», sottolinea la vicepresidente Dem Debora Serracchiani alla vigilia della direzione del partito che, in mattinata, riunirà Nicola Zingaretti. E, in una nota, il Pd ribadisce la sua preoccupazione: «Il prezzo della crisi è immenso, in Aula tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità per salvaguardare gli interessi del Paese», si legge in una nota.

La caccia ai responsabili, insomma, è tutt'altro che finita. Anche se, per ora, non miete troppi consensi. Lo sfilamento dell’Udc che in una nota dice «no ai giochi di palazzo» è frutto, anche, del pressing di Lega-Fdi-FI. Che, da qui a martedì, faranno di tutto per evitare la nascita di nuovi «costruttori». Allo stesso tempo Iv con la scelta di astenersi sembra reggere l’urto. Finora nessuna defezione è stata registrata al Senato anche se, in maggioranza, c'è un certo ottimismo sul fatto che, qualcun’altro, oltre a De Filippo, dirò addio a Matteo Renzi.

L’ex premier, riunendo nuovamente i parlamentari nel pomeriggio, prova a serrare ranghi. «Al Senato i 18 senatori saranno decisivi visto che la maggioranza al momento è tra 150 e 152», sottolinea. «Tra Conte e Renzi è in corso una partita a scacchi che non finisce martedì», spiega un ministro 'contiano'. Allo stesso tempo anche nel M5S la fibrillazione è altissima. Vito Crimi e Alfonso Bonafede, dopo aver riunito i direttivi di Camera e Senato, ribadiscono la loro compattezza attorno a Conte e il «no» a Renzi.

Ma, in una fronda del Movimento, i dubbi sul mantenere il veto totale ad Iv. E c'è chi addirittura avrebbe consigliato a Conte di tenere un’informativa e non delle comunicazioni, evitando così il voto. «Se ottiene dieci voti in meno di 161 il centrodestra farà fuoco e fiamme», sottolinea una fonte di primo piano del Movimento. Ma il piano di Conte resta quello di ieri: andare in Aula, ottenere anche solo una maggioranza relativa e poi aprire il tavolo per il programma da governo e, probabilmente, anche il rimpasto. Niente dimissioni e niente Conte-ter, quindi.

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