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Manovra, Tria annuncia: "Reddito di cittadinanza e quota 100 partiranno dal primo di aprile"

Le misure della manovra su reddito di cittadinanza e pensioni (quota 100) "partiranno il primo di aprile". Lo ha confermato il ministro dell’Economia Giovanni Tria. "Quota 100 partirà ad aprile per il settore privato e da ottobre per il pubblico.  "Penso che l’economia si è messa in moto e per il 2019 mi aspetto una crescita possibile superiore a quella stimata" dell’1%.

Il Governo dunque va avanti sull'introduzione del reddito di cittadinanza e sulla cosiddetta quota 100 per l’accesso alla pensione assicurando con il premier Giuseppe Conte che «non si riducono i contenuti né la platea dei destinatari». Ma se sulle misure previdenziali ormai il quadro è delineato con una sperimentazione triennale e paletti per chi esce, per il reddito la messa a punto appare ancora in alto mare.

Non ci sono indicazioni sui requisiti e quindi sulla possibile platea dei destinatari a parte il numero di coloro che risultano in povertà assoluta (all’interno del quale ci sono anche pensionati) né sul tetto massimo dell’importo, né sul modo nel quale queste persone dovrebbero riattivarsi per cercare lavoro. Alla fine probabilmente si dovrà tenere conto dell’esperienza del Rei allargando la platea e aumentando gli importi. Le due misure saranno introdotte con un decreto che dovrebbe arrivare dopo Natale mentre le risorse sono postate nella manovra di bilancio per il 2019. Ecco in estrema sintesi come potrebbero funzionare alla luce di quanto si apprende da chi sta lavorando al dossier.

PENSIONI E QUOTA 100: Tra il 2019 e il 2021 chi ha almeno 62 anni di età e 38 di contributi potrà andare in pensione con una finestra trimestrale se lavoratore privato e semestrale se pubblico. Per i privati la prima finestra sarà il 1 aprile 2019 mentre per i pubblici i requisiti vanno ottenuti entro il 31 marzo e la prima uscita sarà il 1 ottobre (quindi di sei mesi nel caso si raggiungano i requisiti nel primo trimestre ma di 9 mesi se li si hanno già a fine 2018).

E’ previsto il divieto di cumulo con l’attività lavorativa fino all’età di vecchiaia (67 anni) a meno che non si faccia lavoro autonomo occasionale con compensi inferiori a 5.000 euro annui. Questo deterrente insieme all’attesa per il pagamento della liquidazione, dovrebbe frenare l'esodo dei lavoratori pubblici. Per i pubblici il trattamento di fine servizio, infatti, sarà erogato solo all’età di uscita per la vecchiaia con i requisiti normali (quindi 67 anni di età o i requisiti di anzianità contributiva). Si blocca l’aumento
dell’aspettativa per le pensioni anticipate (a 42 anni e 10 mesi, 41 e 10 per le donne) ma si introduce la finestra trimestrale. Si proroga l’Ape sociale per un anno e si mantiene, sempre per un anno, l’opzione donna. Sarà previsto un meccanismo di salvaguardia qualora le uscite dovessero essere più del previsto. La stima è di 315.000 pensionamenti supplementari nel 2019. Il Governo mantiene il taglio dell’indicizzazione per le pensioni oltre le tre volte il minimo (sullo schema di quello Letta) e prevede un contributo di solidarietà per i trattamenti superiori a 100.000 euro lordi annui.

Al momento appare tramontata l’ipotesi di una pensione di cittadinanza (complicata soprattutto per l’impossibilità di dare un sussidio temporaneo) mentre si lavorerà probabilmente a un ddl delega che riordini le prestazioni assistenziali legate alla prova dei mezzi.

REDDITO DI CITTADINANZA: a pochi giorni dal provvedimento annunciato è ancora buio fitto su come funzionerà la misura. Il Governo ha fatto sapere che l’importo sarà più basso per chi possiede una casa (tra i 200 e i 280 euro al mese) ma non ha ancora chiarito quale sarà l’importo massimo e le scale di equivalenza a seconda del nucleo familiare. La platea di cui si
parla è quella dei poveri assoluti (poco più di cinque milioni in 1,78 milioni di famiglie) ma la condizione di povertà dipende
non solo dal reddito ma anche dal numero e dall’età dei componenti della famiglia e dal luogo in cui si vive.

Non si sa quale sarà il terminale delle domande (per il Rei sono i comuni) né chi avrà la responsabilità dell’erogazione (per il Rei è l'Inps) e dei controlli. Non si sa quale siano i criteri oltre il basso reddito per chiedere il sussidio (il Rei non si può chiedere se un componente della famiglia ha la Naspi). Se si vorrà attendere la riorganizzazione dei centri per l’impiego i tempi si allungheranno mentre se si punterà a stringerli probabilmente si dovrà guardare al Reddito di inclusione magari semplicemente alzando il tetto massimo del sussidio (540 euro al mese per 18 mesi il Rei per una famiglia con almeno sei componenti), magari fino a 780 euro ma per l’intero nucleo, e allargando la platea riducendo alcuni paletti.

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