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Manovra alla Camera, incognita reddito di cittadinanza e pensioni

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

La Legge di Bilancio è arrivata alla Camera dei deputati e nelle prossime ore la presidenza assegnerà il ddl alla Commissione Bilancio per l'esame.

Al termine di una gestazione durata quindici giorni, i 108 articoli della manovra, dopo la firma del capo dello Stato, arrivano al Parlamento: tra il 29 e il 30 novembre è previsto che il ddl approdi in Aula alla Camera. Ma se è vero che viene confermato lo stanziamento di 16 miliardi per le due 'bandiere' di M5s e Lega, reddito di cittadinanza e quota 100, come e quando le misure partiranno è ancora tutto da scrivere.

Così come è aperta la discussione su interventi divisivi come il taglio alle pensioni d'oro. Come andrà a finire, dipende ancora da due fattori critici: l'Ue e i mercati. Perché pesa come un macigno non solo la probabile procedura d'infrazione dell'Unione ma anche la stima di Bankitalia di 5 miliardi d'interessi in più da pagare nel 2019 come effetto dell'impennata dello spread.

Chiuso il testo, il governo prova a stringere i tempi della risposta a Bruxelles: la replica ai rilievi dell'Ue sulla manovra dovrebbe arrivare a inizio settimana prossima. Non dovrebbero esserci stravolgimenti, ma la possibile assicurazione di un contenimento del deficit anche con uno slittamento di riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza a maggio 2019.

"Stiamo lavorando per far crescere il Paese, avanti così", dichiara il premier Giuseppe Conte dopo aver chiuso il testo della manovra. "Attribuire al governo la responsabilità" dei dati su Pil e disoccupazione "è irragionevole e profondamente ingiusto. Gli effetti positivi delle nostre riforme si vedranno a partire dal 2019. La nostra rivoluzione è appena iniziata", dice il premier in un'intervista al Corriere della Sera, convinto "che la ricetta per la nostra economia debba essere responsabile sì, ma espansiva". E "nel confronto con la Commissione europea riusciremo a dimostrare la bontà di una manovra di crescita".

"Andare avanti" è del resto il mantra dell'intero governo, da Luigi Di Maio a Giancarlo Giorgetti. Bisogna fare deficit, spiega Giovanni Tria, per combattere la "grande depressione". Ma il ministro sostiene, come già nei giorni scorsi fonti di via XX Settembre e di Palazzo Chigi, che il deficit alla fine sarà più basso del previsto (non il 2,4% ma il 2% secondo alcune stime), anche perché il 2,4% è stato calcolato su una crescita "tendenziale" allo 0,9% e non su quella stimata dal governo come effetto della manovra , all'1,5%. Ma questa interpretazione, su cui Conte e Tria starebbero basando la loro interlocuzione con Bruxelles, non regge secondo il Pd: "Il deficit è deficit", taglia corto l'ex ministro Pier Carlo Padoan. "Se parla di crescita tendenziale, non c'è la manovra.

Se di quella programmatica, ha detto una sciocchezza", afferma Francesco Boccia. In ogni caso, osservano dallo stesso governo, queste stime e pure le clausole per contenere la spesa inserite nel testo della manovra, rischiano di non bastare all'Ue.
Nel governo, leghisti e pentastellati si mostrano spazientiti dal nuovo allarme su spread e conti lanciato da Bankitalia e Quirinale: la strada è già assai stretta, se si alzano i toni si rischia di irrigidire ancor di più i 'falchi' della maggioranza che vogliono andar dritti senza cambiare neanche una virgola. E invece, tuttora i 'dialoganti' sostengono che qualcosa bisognerà cambiare. E cambiare si può solo a partire da quota 100 e reddito di cittadinanza. Sono possibili slittamenti rispetto all'avvio previsto per marzo 2019? "Le misure partiranno quando sarà tutto pronto", risponde sibillino Giorgetti. E l'allarme in casa M5s cresce: i leghisti, che studiano di ridurre l'impatto di "quota 100" sul 2019, non escludono di inserire la misura in
manovra con un emendamento. Ma Di Maio tiene la guardia alta: quota 100 e "reddito" - avverte - devono marciare insieme. Non esiste, come sibiliano i leghisti, che il reddito parta dopo.

L'insofferenza tra alleati è palpabile nelle dichiarazioni: "Se governassi da solo potrei fare le cose più velocemente", afferma Matteo Salvini. L'avviso di una rottura? Nel M5s i sospetti crescono. E Alfonso Bonafede risponde per le rime: "Se facessimo da soli non ci sarebbe stata la pace fiscale". La Lega ha disertato anche il vertice notturno di martedì a Palazzo Chigi per chiudere il testo: "Siamo stanchi delle continue richieste del M5s e delle loro beghe col Mef", dice una fonte. E in effetti la riunione notturna non scioglie tutti i nodi: solo una mediazione di Conte chiude il braccio di ferro tra Danilo Toninelli e Tria sulla cabina di regia sugli investimenti. Ma viene rispedita al mittente la richiesta del ministro, in asse con Virginia Raggi, di assegnare 180 milioni a Roma per riparare le buche. E neanche la misura cara ai pentastellati delle pensioni d'oro per ora vede la luce: "E' un delirio", dice una fonte di governo. Nel mirino torna anche il capo di Gabinetto del Tesoro Roberto Garofoli: un articolo su suoi presunti legami con la Croce Rossa, su cui Garofoli annuncia querela, riporta sugli scudi il M5s. E tornano le voci di dimissioni del 'super tecnico' del Mef subito dopo l'approvazione della manovra.

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