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Migranti, Salvini: "Sulla Nave Diciotti andrò fino in fondo". Primi interrogatori

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini

Sulla nave Diciotti, sbarcata ieri nel porto di Trapani, Matteo Salvini non arretra: «Andrò fino in fondo - dice - fino a quando qualcuno non verrà assicurato alla giustizia», ha detto a Rtlm sottolineando di essere «ministro dell’Interno e farò di tutto per difendere la sicurezza degli italiani, quello che sto facendo è bloccare partenze, sbarchi e morti».

Sulle tensioni col Quirinale, dopo l'intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha chiamato il premier Conte per sbloccare lo sbarco, superando la posizione ferma di Salvini, quest'ultimo risponde: "Non si è mai intromesso in quello che io ho fatto come ministro dell'Interno. Io non ho niente da chiarire; se comunque Mattarella vuole capire cosa ho fatto io sono a disposizione, ma la lotta ai clandestini è una delle priorità del Paese. L'unica cosa che mi farebbe arrabbiare è che tutti gli sbarcati della Diciotti finissero a piede libero, qualcuno deve pagare, ci deve esser certezza della pena. Mi auguro la procura faccia in fretta, non può finire a tarallucci e vino".

"A bordo di quella nave - ha spiegato il ministro - c'erano delle persone che, stando a testimonianze, avrebbero minacciato e aggredito marinai di un'altra nave. Prima di piazzare in albergo a 35 euro al giorno personaggi che hanno aggredito marinai volevo che le indagini spiegassero agli italiani cosa è accaduto".

La posizione del ministro dell’Interno era stata dura: «O hanno mentito gli armatori denunciando aggressioni che non ci sono state e allora devono pagare, o l’aggressione c'è stata e allora i responsabili devono andare in galera».

Getta acqua su fuoco l'altro vice premier, Luigi Di Maio: «Se il presidente della Repubblica è intervenuto in questa vicenda bisogna rispettarlo e soprattutto fare in modo che quando ci sono delle questioni del genere le procedure siano più veloci. Perchè noi avevamo la stessa preoccupazione (di Salvini ndr): cioè fare in modo che chi aveva in qualche modo aggredito l’equipaggio del rimorchiatore, e per questo aveva causato l’intervento della nostra nave militare, dovesse essere perseguito», dice il ministro dello Sviluppo Economico, ad Agorà Estate su Raitre.

Primi interrogatori, intanto, questa mattina dei 67 migranti sbarcati ieri sera a Trapani da nave Diciotti della Guardia costiera dopo essere stati salvati dal rimorchiatore Vos Thalassa. Saranno sentiti da personale della squadra mobile della Questura, dello Sco della polizia di Roma e da militari del Nsi della guardia costiera. Tra loro anche il sudanese Ibrahim Bushara e il ganese Hamid Ibrahim, i due indagati per violenza privata continuata ed aggravata in danno del comandante e dell'equipaggio del rimorchiatore Vos Thalassa.

La procura di Trapani vuole fare chiarezza sull'esatta dinamica di quanto è accaduto dopo il soccorso dei migranti. L'equipaggio avrebbe detto di essersi sentito minacciato gravemente quando i migranti hanno scoperto che la nave li stava riportando indietro. Secondo il racconto del comandante gridavano "no Libia, Libia, sì Italia". E avrebbero circondato l'equipaggio, spintonando il primo ufficiale. Così sono scattati i contatti con la sala operativa della capitaneria di porto di Roma, che ha inviato sul posto la Diciotti che ha effettuato il trasbordo.

I primi racconti dei migranti sarebbero diversi, avrebbero 'supplicato' con insistenza il comandante e l'equipaggio a non riportarli in Libia, pressandoli, e scambiando la loro paura con minacce. Potrebbe essere questa la discriminante determinante dell'inchiesta della Procura di Trapani. Paura e minacce reali o percezione accentuata anche dall'inferiorità numerica? Intanto il procuratore Alfredo Morvillo ha deciso che non esistono i presupposti per arrestare i due indagati che la polizia aveva denunciato anche per impossessamento della nave e minacce. Ma questo non significa che l'inchiesta sia chiusa. Anzi si allarga. Si cercano, per esempio, anche eventuali scafisti del gommone, e, secondo quanto si è appreso, accertamenti anche su questo fronte sono in corso sui due indagati in stato di libertà.

"Non abbiamo aggredito nessuno, ci sono stati 5-10 minuti di grande confusione e paura, ma non volevamo fare del male ad alcuno. Eravamo terrorizzati non volevano tornare in Libia: eravamo pronti a tuffarci in mare e a rischiare la vita piuttosto che ritornare a terra". Sono i racconti di alcuni dei 67 migranti riportati da Sahar Ibrahim, operatrice italo-egiziana di Unicef/InterSos a bordo dalla nave della Guardia costiera italiana.

"Hanno raccontato - ha spiegato Sahar Ibrahim che sta per ripartire per l'ennesima missione con la Diciotti - che non c'è stata alcuna violenza a bordo del mercantile che li ha soccorsi. Avevano solo paura di tornare in Libia, erano davvero spaventati, ma nessuna forte agitazione. Probabilmente c'è stato solo un problema di lingua perché nessuno di loro parla inglese".

L'operatrice di Unicef/InterSos conferma che molti di loro quando hanno capito che la nave dirigeva verso la costa hanno cominciato a urlare "No Libia, no Libia...". E a quel punto molti di loro "sarebbero stati pronti a gettarsi in mare e morire, piuttosto che ritornare a terra".
"Ho parlato con donne e bambini - ha sottolineato Sahar - ma nessuno ha parlato di minacce o di aggressioni. Tutto, mi hanno detto, è durato 5 al massimo 10 minuti. Poi sono stati rassicurati e tutto è finito. Il viaggio è stato lungo, ma tranquillo".

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