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Legge elettorale, salta intesa Pd-M5S: testo in commissione

Camera dei deputati

ROMA. Il patto tra Pd, M5s, Fi e Lega è saltato e con lui la legge elettorale che ne era figlia, il proporzionale con soglia al 5%, il Fianum, dal nome del relatore Emanuele Fiano. Proprio lui ha dichiarato che «la legge elettorale è morta» dopo che l’Aula della Camera aveva approvato un emendamento apparentemente minore, ma che non era stato concordato e che M5s ha votato lo stesso. Al netto dei reciproci scambi di accuse, si apre un periodo di incertezza sia sul tentativo di giungere a un nuovo sistema elettorale, sia sulla tenuta della maggioranza di governo, benché la Borsa abbia scommesso sulla durata della legislatura fino al 2018.

Il patto tra Pd, M5s, Fi e Lega che ha retto in Commissione Affari costituzionali, si basava sul fatto che ogni modifica fosse concordata da tutti i contraenti. In Aula M5s ha votato invece a favore di un emendamento, presentato dal suo deputato Riccardo Fraccaro e da Micaela Biancofiore di FI, su cui il Pd era fermamente contrario: in più, grazie allo voto segreto, si sono aggiunti i franchi tiratori sia della minoranza Pd che di Fi. E’ stato così approvato l’emendamento che elimina per il Trentino Alto Adige i collegi maggioritari, introducendo il proporzionale come nelle altre regioni. Uno schiaffo al Pd che si era fatto garante con la Svp del mantenimento del Mattarellum: il partito della minoranza di lingua tedesca, con i collegi maggioritari riesce a eleggere più parlamentari formando poi in Parlamento dei gruppi che collaborano in pieno con i Dem.

Il capogruppo Pd Ettore Rosato ha detto che il mantenimento in Trentino Alto Adige del Mattarellum era «una pregiudiziale irrinunciabile». Anche perché i voti della Svp in Senato sono essenziali «e a M5s lo avevamo spiegato». «Il Pd - si è sfogato - ha fatto lo sforzo più grande accettando il proporzionale, ed è stato tradito». Per M5s, con Danilo Toninelli, «traditori e irresponsabili» sono stati i Dem, dato che i franchi tiratori sono arrivati dalle sue fila e non di M5s che aveva annunciato alla luce del sole il suo sì all’emendamento.

La legge è stata rinviata in Commissione, che il presidente Andrea Mazziotti ha convocato martedì per decidere cosa fare. Matteo Renzi sostiene che l’accaduto dimostra che è impossibile che il Parlamento approvi una legge elettorale, come chiede il presidente Mattarella, e che la maggioranza spaccata possa portare avanti la Legge di Bilancio in autunno. Di qui il rilancio dell’idea di un decreto tecnico per poi andare alle urne a settembre con l’Italicum e il Consultellum. Renzi una legge elettorale con la sola Fi non intende farla temendo le accuse di «inciucio» di Grillo, che infatti ha detto: «una legge fatevela con Berlusconi e Dudù». Per un voto a settembre anche M5s e Lega. La prossima settimana in Senato si voterà la manovrina e li si capirà se la maggioranza dopo gli strappi delle scorse settimane regge ancora.

Di parere opposto al Pd tutti gli altri partiti, da FI (uno stop alle urne è arrivato da Silvio Berlusconi) sino agli alleati più piccoli di governo. Maurizio Lupi (Ap) ha invitato il Pd a ripartire proprio dalla maggioranza di governo, anziché dalle opposizioni per la legge elettorale. Anche il presidente del Senato Pietro Grasso si è detto «fiducioso» che il dialogo riparta e che qualche giorno «di riflessione» possa aiutare. Parole, quelle di Grasso, che interpretano anche gli auspici del Quirinale, che ha seguito con preoccupazione gli eventi. E non la pensa come Renzi neanche la Borsa: subito dopo lo stop alla legge elettorale l’indice è salito dell’1,6%, mentre lo Spread è sceso da 200 a 194. Piazza Affari ha interpretato il tutto come un allungamento della legislatura al 2018.

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