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Referendum, Renzi crede nella rimonta: "La partita non è chiusa"

ROMA. Matteo Renzi festeggia i 1000 giorni di governo con i sondaggi che non sembrano offrire chance alla vittoria del Sì al referendum. Ma il premier, pur sperando che anche stavolta le rilevazioni siano sbagliate, non ha intenzione di fare la cavalcata finale degli ultimi 15 giorni perdendosi d'animo.

«La partita è totalmente aperta in ragione degli indecisi», è la convinzione del leader Pd che dai suoi «personali» calcoli è convinto che con un'affluenza al 60 per cento «si vince con 15 milioni di consensi» da cercare ad uno ad uno tra chi non ha ancora deciso se e che cosa votare. Dopo Brexit e le elezioni Usa, l'Italia è sotto i riflettori di mercati e osservatori internazionali. Alla conferenza stampa a Palazzo Chigi per spegnere le candeline dei mille giorni, ci sono giornalisti francesi, inglesi e anche giapponesi. Il premier non ha però intenzione di avvallare l'impressione di un paese in bilico e di un calo di consensi del governo che possa portare ad una sconfitta al referendum.

«Il mio consenso personale lo trovo stabile in modo sorprendente e quello del governo, paragonato a quello di altri esecutivi europei, mi sembra decisamente positivo», ribatte ad un giornalista francese. Così come la fibrillazione dei mercati seppur «ovvia» a ridosso di un evento come il referendum non diventerà «la carta della paura» per vincere la consultazione. Ma al netto delle battute - «nel 2016 i sondaggi non ne hanno azzeccata una, non è che devono iniziare questa volta...» - Renzi non vuole neanche cadere nel tranello di chi dice di ignorare le rilevazioni.

«Il vero modo di vivere il rapporto con i sondaggi è mettersi in gioco», dice parlando al seminario di Ap al fianco di Angelino Alfano e dei centristi di governo. Quindici giorni sono decisivi per il leader Pd proprio per invertire la tendenza, battendo su «un sostanziale, incredibile numero di indecisi». In un referendum senza quorum vince chi porta un elettore in più e, secondo i calcoli del premier, dei 25-30 milioni che andranno a votare avrà la meglio chi ne convincerà la metà. «Ho girato tantissimo l'Italia - afferma il premier - e avverto forte che c'è un popolo che ha voglia di cambiare e continuo a pensare che, con buona pace degli istituti di sondaggi, ci sia lo spazio perchè prevalga il Sì». Certo, se lo rincuora la percentuale pari al 90 per cento di sì dentro il popolo dem, prova che lo strappo della minoranza non ha seguaci, il premier non nasconde la preoccupazione sullo scarso appeal della riforma sui giovani.

«C'è volatilità e volubilità nel consenso - ammette - per cui la gente fa zapping mentre 30 anni fa si votava sempre per lo stesso partito, oggi soprattutto i più giovani cambiano». Analisi che non rallenteranno il ritmo, già molto sostenuto, delle iniziative referendarie di Renzi, che non ha voglia di perdere tempo, almeno per ora, su scenari futuri. «Ove i cittadini bocciassero le riforme, verificheremo la situazione politica», dice mostrando cautela davanti alla stampa italiana e estera a Palazzo Chigi. Ma poi, ospite di 'Otto e mezzò, ribadisce i confini del suo impegno: «Se si cambia e si continua io ci sono, se si torna alla grande accozzaglia che è la base politica del No, sempre i soliti politici, se vogliono galleggiare, che gestiscano loro il paese. Io non sono capace a fare inciuci e accordicchi», ribadisce chiarendo che per quanto riguarda il Pd, a prescindere dall'esito del referendum, si aprirà il congresso interno. Al quale Renzi, come ovvio, spera di arrivare rafforzato dalla vittoria del 4 dicembre.

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