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Boschi all'associazione magistrati: lavorate per il bene del Paese

Chiusa la polemica, ma le toghe rispondono: "Non ridimensionate il nostro ruolo"

BARI. Il lavoro dei magistrati viene fatto per il "bene supremo del Paese e soprattutto a chi è negli uffici di prima linea "va tutta la nostra gratitudine". Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi pone il sigillo alla pace tra toghe e governo, archiviando così lo scontro che si era aperto nella prima giornata del Congresso dell'Associazione nazionale magistrati.

All'esecutivo non erano piaciute le accuse contenute nella relazione del presidente Rodolfo Sabelli di troppa timidezza nel contrasto alla corruzione e di un'eccessiva enfasi sul tema della limitazione delle intercettazioni; come pure lo scenario di delegittimazione della magistratura evocato dal leader dell'Anm. Già ieri era stato il ministro della Giustizia a indicare la strada del dialogo, definendo il sindacato delle toghe un interlocutore essenziale del governo, senza rinunciare tuttavia a rispondere punto per punto ai rilievi di Sabelli.

Ma sono le parole del ministro per le Riforme ad archiviare definitivamente la polemica. Nessun rilievo da Boschi alle toghe, solo richiami all'importanza del ruolo dei magistrati: prima evidenziando che con la sua partecipazione alla giornata inaugurale del Congresso il capo dello Stato ha voluto dimostrare "come tutta l'Italia riconosce il valore" di chi da magistrato "serve il nostro Paese"; poi con una citazione di Nicolò Macchiavelli ("non ci può essere una città libera dove anche un solo cittadino è temuto da un magistrato") per segnalare l'importanza dell'indipendenza della magistratura.

Il ministro parla anche delle risorse trovate nella Legge di Stabilità per assumere altri 300 nuovi magistrati (anche se non è la soluzione ai problemi organizzativi della giustizia è "un segnale di inversione di tendenza, che sarà rafforzata in futuro"). E delle sfide da affrontare insieme con "disciplina e onore". Una mano tesa che Sabelli accoglie con soddisfazione: "condividiamo gli obiettivi e lavoriamo nella stessa direzione con rispetto reciproco dell' autonomia di ciascuno", dice tornando a rivendicare la critica come "sale" del confronto. Se i toni dunque tornano pacati le questioni sul tavolo restano tutte.

E così Piercamillo Davigo, l'ex pm di Mani Pulite, incassa l'applauso dei colleghi quando chiede alla politica di "ripulire" da sè, con una selezione preventiva, la classe dirigente del Paese, senza delegare questo compito alla magistratura. O parla delle "resistenze" del Parlamento a consentire nella lotta alla corruzione l'uso dell'unico strumento efficace, gli agenti sotto copertura, e prevedere premi per chi collabora, che potrebbero arrivare sino alla non punibilità di chi fa i nomi dei suoi sodali.

A sorpresa un altro ex componente di quel pool Francesco Greco spezza invece una lancia a favore del governo: "Ha fatto tanto: è innegabile che si è cercato di ricostruire il sistema di contrasto alla criminalità economica". Mentre il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, chiede di non limitare le intercettazioni, "strumento fondamentale" per combattere la criminalità organizzata".

Le preoccupazioni dei magistrati trovano spazio anche nella mozione finale del Congresso, dove si torna a parlare di "clima di delegittimazione e sfiducia nel sistema giudiziario": la richiesta alla politica resta quella di riforme coraggiose e l'impegno resta quello di dare il proprio contributo. L'Anm non intende farsi mettere nell'angolo e nel documento mette nero su bianco che si opporrà "a ogni tentativo di ridimensionamento del proprio ruolo istituzionale e di rappresentanza dell'intera magistratura".

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