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Grandi manovre al Senato: "sì" quotati tra 159 e 165, timori su 10 di Ncd

Tutti mobilitati a portare il compagno di banco o il corregionale sulle ragioni del sì o del no

ROMA. Tra i 159 e i 165 voti. Il 'borsino' renziano dei sì alla riforma costituzionale consegna al governo numeri tutto sommato tranquillizzanti. Ma non definitivi. Perchè all'inizio delle votazioni mancano circa dieci giorni. E i conteggi devono tenere conto di un magma di una trentina di senatori che spostandosi potrebbero fare la differenza. Perciò tutti mobilitati a portare il compagno di banco o il corregionale sulle ragioni del sì o del no. Ciascuno attento a registrare singole oscillazioni, tentennamenti, ripensamenti.

Quando l'ormai lontano 8 agosto la riforma del Senato fu approvata in prima lettura, con l'uscita delle opposizioni dall'Aula, i sì furono 183. Altri numeri, garantiti dal Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, oggi archiviato. Ma già allora sul finale si «persero» 47 voti, che sulla carta la maggioranza allargata a FI doveva avere. E un pezzo di minoranza Pd espresse il suo dissenso sull'articolo 2, che non prevede l'elezione diretta dei futuri senatori, con 12 no e 2 astensioni. Più di un anno dopo, l'area del dissenso interna al Pd si è allargata. Almeno sulla carta. Sono infatti 25 i firmatari del documento per il Senato elettivo, in 28 hanno firmato gli emendamenti. «E il gruppo tiene, non ci sono defezioni», assicurano dalla sinistra Dem. Ma dalla maggioranza Pd fanno al contrario sapere che già in 8 si sarebbero staccati e sarebbero pronti a votare sì. Alla prova dell'Aula, scommettono, i dissidenti saranno tra i 15 e i 20.

Tra i 5 e i 10 si annunciano invece i «ribelli» di Ncd, secondo i calcoli che si fanno all'interno del gruppo. Pochi,  come Carlo Giovanardi, sono già venuti allo scoperto. Ma gli occhi continuano a essere puntati su campani, calabresi e singoli senatori malpancisti. Alla fine, scommettono dal gruppo, le defezioni si conteranno sulle dita di una mano. Ma dal Pd guardano con qualche apprensione agli alleati di governo.

L'area dei favorevoli alla riforma si arricchisce poi dei 14 delle Autonomie e i 10 di Verdini, che hanno votato oggi con la maggioranza per respingere le pregiudiziali alla riforma (171  sì, inclusa la minoranza Pd). A favore del ddl ci sarebbero poi i senatori di Gal Naccarato, D'Onghia e Davico. Dal Misto i due ex grillini Romani e Bencini, che sono passati all'Idv. E gli ex forzisti Bondi e Repetti. Se si sommassero tutti costoro ai 112  del gruppo Pd e ai 35 di Ap si arriverebbe a una soglia di sicurezza di 179 voti. Ma, come visto, bisogna sottrarre una quota di dissenso che può oscillare tra un massimo di 35-40 e un minimo di 10-15 senatori. Alla fine, calcolano dal gruppo Pd, i sì dovrebbero assestarsi in una forchetta che va dai 159 ai 165.

Sul fronte del 'nò restano fermi intanto i 45 di Forza Italia, 36 M5s, 12 della Lega, 5 di Gal, 7 di Sel, 14 ex grillini. Ma anche qui sono possibili oscillazioni. Occhi puntati, ad esempio, sugli ex M5s Pepe e De Pin, oggi tra i Verdi. E anche dentro FI si guarda con attenzione alle posizioni degli uomini vicini ad Altero Matteoli, mentre viene data per probabile l'uscita dall'Aula al momento del voto di qualche senatore, come Carraro e Barnabò Bocca. Il pugliese Francesco Maria Amoruso, che in mattinata aveva annunciato l'ingresso nel gruppo di Verdini, in serata è stato ricevuto da Silvio Berlusconi in un clima, dice Gasparri, di «grande cordialità».

«Se la riforma resta com'è non la votiamo, ma niente ostruzionismo», dichiara intanto Flavio Tosi. I suoi 3 senatori, erano considerati nell'area del sì dopo un incontro del sindaco di Verona con Renzi. Ma oggi sembrano orientati a mantenere una  posizione di dissenso «non belligerante», come i 10 di Raffaele Fitto, che difendono le loro proposte di modifica.

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