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Prodi punge Renzi: "Grandi leader decidono dopo consultazioni"

Romano Prodi

MILANO. Due salotti (televisivi), uno solo (o quasi) l'obiettivo: Matteo Renzi. Dopo la mezz'ora di fuoco di Enrico Letta dall'Annunziata che ha paragonato il premier a Berlusconi, è toccato ad un'altra delle «vittime» del Rottamatore ad affacciarsi nelle case degli italiani per mettere qualche puntino sulle 'ì. E se dopo pranzo Letta argomentava che per spiegare le cose sono meglio i libri degli hastagh, Romano Prodi non se lo fa ripetere due volte e si presenta con la sua ultima fatica: «missione incompiuta». Quella dell'Ulivo, innanzitutto. Una missione, spiega il Professore, partita con entusiasmo, snella nelle gambe e nel  programma. Ma poi via via appesantita dalle tante, troppe anime presenti. «È stato un grande momento», ammette sorridendo Prodi, che si dice felice del fatto «che la gente lo ricordi. Ma il mondo è cambiato - avverte - e ognuno va per la strada». Soprattutto il Pd. E, forse, i suoi leader.

«Nella mia vita politica - dice Prodi - ho conosciuto molti leader e quelli che mi hanno sempre colpito sono coloro che dopo una accurata analisi e dopo consultazioni, tenendo conto di tutte le realtà, dicevano di sì o di no. E poi, solo dopo, decidevano. Come Helmut Kohl. Ma guai alla decisione che precede l'analisi, in quel caso è un colpo di cocciutaggine». Un consiglio per Renzi? «Non do consigli a nessuno», replica lapidario l'ex premier che fa scivolare la stretta di mano di oggi con Renzi, dopo le polemiche sull'Expo, nella sfera dei sorrisi di circostanza: «tutto è bene quel che finisce bene», sorride senza concedere di più il prof a chi gli chiedeva una lettura della 'pacè di oggi. La ferita dei 101, inoltre, non sembra ancora sanata. Anzi. Prodi la allarga: 101? No, «erano almeno 120, visto che avevo capito che avrei avuto 15-20 voti fuori dal Pd». Ma chi siano questi 120 «nessuno lo sa» scherza l'ex premier: « è una cosa che non sa nessuno, è l'unico segreto italiano...». Ma rancore no, assicura. Quando perse il governo, ricorda, «dissi: vado a Bologna. Non resto mica a dare fastidio qui». E poi «non porto rancore nei confronti di nessuno perchè ho una grande fortuna, non ricordo nulla...». Una cosa, però, se la ricorda: la mancata designazione come mediatore in Libia. Accompagnando il ricordo ad un sofferto «non capirò mai il perchè della guerra in Libia», Prodi chiama in causa Berlusconi e Sarkozy: «o l'uno o l'altro o tutti e due forse posero il veto». «Il mio nome era stato proposto nel 2011 da 25 capi di Stato africani - racconta - e Ban ki moon rispose »perfetto« e disse che bisognava sentire i paesi interessati. Non arrivò alcuna risposta, Sarkozy o Berlusconi o tutte e due posero il veto».

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