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«Renzi ha cambiato destra e sinistra, con lui finisce il bipolarismo»

Secondo il vicedirettore de La Stampa «in un anno il premier ha chiuso il ventennio berlusconiano. Quello che c’era prima di lui non tornerà più»

«Può darsi benissimo che Renzi fallisca. Ma quello che c’era prima di lui non tornerà più». È questo il giudizio sul presidente del Consiglio, a un anno dal suo insediamento, espresso da Michele Brambilla, giornalista, scrittore e vice direttore de «La Stampa».

Veramente il giudizio è molto più controverso: secondo alcuni la sua azione di governo non è poi così incisiva. Qual è il suo giudizio?

«Lascerei parlare i fatti. Nel discorso programmatico alle Camere aveva deciso l’intervento più popolare: il bonus ai lavoratori dipendenti. Ad aprile vara il decreto-legge con gli ottanta euro. È un investimento sul classico insediamento sociale ed elettorale della sinistra: i lavoratori dipendenti con un reddito medio-basso. I sindacati confederali applaudono senza entusiasmo, ma diventano ostili quando il Parlamento a dicembre, licenzia il Jobs act, col quale toglie al sindacato la sua deterrenza più forte: il ricorso alla magistratura».

Ora il Jobs Act è diventato legge e anche sui decreti attuativi Renzi ha mostrato di voler andare avanti per la sua strada. Licenziamenti collettivi, sostanziale abolizione dell’articolo 18. Tutti elementi molto indigesti per la sinistra. Che cosa è successo?

«Renzi ha cambiato la sinistra perché l’ha costretta ad abbandonare totem che parevano dogmi religiosi, come quello dell’articolo 18 o della concertazione. Come presidente del Consiglio ha detto e fatto cose che, fossero state dette o fatte da Berlusconi, avrebbero scatenato in piazza, come minimo, i girotondi. Dei quali, invece, non abbiamo più notizie».

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