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Il suo motto in una rarissima intervista del 1991: "Non è gridando che si fa politica"

«La forza d'animo, la determinazione ad agire non è necessariamente espressa dai decibel, da volume della voce o dal modo in cui ci esprime, non è gridando che si esprime maggiore forza di volontà».

ROMA. «La forza d'animo, la determinazione ad agire non è necessariamente espressa dai decibel, da volume della voce o dal modo in cui ci esprime, non è gridando che si esprime maggiore forza di volontà». Così Sergio Mattarella nel 1991 in una rarissima intervista fatta da Andrea Scazzola per Rai radio2 nel 1991 parlava del suo rapporto con la politica confessando la sua predilezione per i toni bassi, l'analisi e la riflessione. Una politica che ha «respirato come l'aria» sin da piccolissimo visto che, ha ricordato, «quando è iniziata l'attività politica di mio padre avevo due anni». Nonostante questo Mattarella conferma che non aveva intenzione di entrare in politica, ma le cose cambiarono dopo l'uccisione del fratello Piersanti: «la logica delle cose fu più forte delle intenzioni personali» e decise di tenere in vita «il patrimonio di energie» costruito dal fratello Piersanti, allora presidente della regione Sicilia, freddato il 6 gennaio 1980 da un killer della mafia.

Da allora, ha aggiunto, «cerco di mantenere una sorta di impegno con me stesso e osservare una regola che mi sembra fondamentale, cioè di mantenere, rispetto alla politica, uno spirito critico e un minimo di autoironia, con un pò di distacco che serve a mantenere il senso della realtà».  «La sua voce è sempre calma, pacata...a volte pacatezza sembra debolezza...», gli chiede l'intervistatore. «La forza d'animo, la determinazione ad agire non è
necessariamente espressa dai decibel, da volume della voce o dal modo in cui ci esprime, non è gridando che si esprime maggiore forza di volontà. Piuttosto - ha spiegato Mattarella - penso sempre a una persona come Moro, pacato e riflessivo, che però è riuscito a guidare processi politici di carattere storico.
Perchè qualche volta, non sempre, chi alza la voce lascia segni in superficie nella vicenda politica, lascia tracce epidermiche.

Un lavoro in profondità che guidi realmente i processi civile e sociali, deve scavare in profondità, bisogna incidere al di sotto della superficie e ciò richiede una maggiore riflessione e non si identifica con l'alzar la voce. Più spesso si identifica con il lavoro paziente, con un'analisi attenta e rigorosa». Ma non solo, Mattarella sembra con la sua storia personale aver confermato le sue parole di allora: «Mi pare importante sottolineare che la politica non è un mestiere, una professione. Uno deve avere il suo lavoro nella società e vivere il suo impegno come se fosse, non solo temporaneo, ma un sovrappiù nell'ambito della convivenza civile senza identificarsi in maniera esistenziale con l'impegno politico, altrimenti si rischia di distorcere il suo impegno politico. La politica è in fondo dovrebbe essere il punto di coordinamento di tutto quello che c'è nel vari segmenti della società, il punto in cui tutto si coordina. Ora se il rapporto tra politica e gli altri segmenti della società si interrompe la politica diventa - ha sottolineato - un'oligarchia che si inaridisce. Deve avere un ruolo di coordinamento, non di guida opprimente della società. Una mediazione in senso nobile». E poi, ha detto ancora, «il rischio maggiore di chi è impegnato in politica è quello di perdere progressivamente, o attutire, il senso della verità: serve sempre un occhio dall'esterno».

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