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Riforme, il patto del Nazareno a rischio tra minoranza Pd e Forza Italia

18 gennaio: Renzi incontra Berlusconi nella sede del Pd e sigla il "Patto del Nazareno"

ROMA. Il patto del Nazareno sempre più stretto tra le mosse dei frondisti della minoranza Pd e di Forza Italia. Matteo Renzi non molla sulla legge elettorale, che dovrebbe essere votata entro il 27 al Senato, ma deve fare un passo indietro sulla riforma del Senato il cui voto finale slitta a dopo il giuramento del nuovo Capo dello Stato.

Sul fronte dell'Italicum non ci sono dunque grossi problemi, anche grazie al «super canguro» del senatore Esposito che ha sfrondato ben 35mila emendamenti delle opposizioni.

Sull'altro versante, la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio, dopo una giornata stop and go, mette la parola fine alla corsa contro il tempo dell'esecutivo rinviando tutto probabilmente ai primi giorni di febbraio.  Eppure Renzi ce l'aveva messa tutta per archiviare le due «pratiche» prima di aprire il capitolo Colle. Ma la carica dei frondisti di Pd (che ha di fatto stoppato oggi le riforme non votando sul nuovo Senato) e degli azzurri anti-Nazareno non dà tregua e continua ad alzare il tiro: anche con la speranza di poter contare di più sulla partita Quirinale.

A ciò si aggiunge l'ostruzionismo di Lega, Sel e M5S a Montecitorio. Ed ecco saltata la tabella di marcia che aveva in testa il presidente del Consiglio.  Nel fine settimana non ci sarebbero state comunque votazioni per via dell'evento organizzato da Sinistra Ecologia e Libertà a Milano «Human Factor» (per prassi se un partito ha un appuntamento politico quel giorno non si fissano lavori parlamentari). E in attesa che si concluda l'esame dell'Italicum 2.0 e che si arrivi a buon punto con l'esame degli emendamenti alle riforme, il clima, soprattutto tra i Dem, si arroventa sempre di più. E la denuncia di Stefano Fassina sul fatto che Renzi sia stato all'epoca il capo dei 101 che impallinarono Prodi appesantisce il clima.

Così come le perplessità espresse dalla Bindi su una possibile candidatura al Colle della Finocchiaro, nome sul quale potrebbero convergere invece anche Forza Italia ed Ncd.  Lucrezia Ricchiuti dice apertamente in Aula che il suo partito «è alla frutta», mentre il resto della minoranza Dem continua a definire come «una decisione allucinante» e un «grave precedente» quella di approvare l'Espositum: l'emendamento che dice sì una volta per tutte ai «capilista bloccati», «pezzo» non secondario del Patto del Nazareno.  In più, Walter Tocci avverte in Aula che la sinistra Pd non voterà l'altro «canguro»: la proposta di modifica firmata da Anna Finocchiaro che ridisegna la seconda parte dell'Italicum, quella rimasta fuori dall'emendamento Esposito. E sale la polemica (con Giovanni Endrizzi (M5S) che legge l'agenzia che ne dà notizia in Aula) quando si scopre che l'unico ddl presentato da Esposito nella legislatura puntava a «dire basta ad un Parlamento di nominati».

La spunta invece Ugo Sposetti che mettendo in difficoltà il governo che si vede costretto a rimettersi all'Aula, porta a casa la norma secondo la quale il partito che presenta al Viminale la sua lista corredata dal simbolo, deve depositare anche lo statuto.  Le cose non vanno meglio in Forza Italia.

A fronte di un Berlusconi che compatta l'area moderata per contare sulla partita per il Quirinale, i frondisti azzurri martellano contro l'accordo con Renzi. Sulle riforme, FI «sta svendendo la propria storia»- afferma Raffaele Fitto - e basta essere gli «scendiletto» del premier, aggiunge. Una presa di posizione che scatena la reazione dei berlusconiani con il capogruppo al Senato Paolo Romani che parla di «posizioni sbagliate e strumentali» perchè - spiega -«noi stiamo finalmente ridisegnando l'assetto istituzionale del Paese». Ma intanto le fronde danno filo da torcere ai rispettivi partiti.

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