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Jobs act, Poletti: "Ci sono i soldi per estendere a due anni il sussidio di disoccupazione"

Le ultime limature ai decreti arriveranno in Consiglio dei ministri oggi

ROMA.  Le risorse per estendere l'Aspi, il sussidio di disoccupazione fino a due anni, «ci sono: nella legge di stabilità di quest'anno ci sono 2,2 miliardi, poi 2 miliardi nel 2016 e altri 2 miliardi nel 2017». Lo ha affermato il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, ospite di Ballarò. Quanto al salario minimo «oggi non ci sarà» al Consiglio dei ministri, «ma - ha aggiunto - è nella delega» del Jobs Act «e lo faremo». «Faremo il decreto che la delega prevede»: risponde così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ospite di Ballarò, alla domanda sul decreto attuativo del Jobs Act sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che andrà domani in Consiglio dei Ministri, senza voler entrare nel dettaglio dei contenuti. Alla domanda se sia ancora necessario trovare un accordo nel governo il ministro risponde: «siamo d'accordo sostanzialmente su tutto quanto, ma non è questa la sede nella quale io possa rappresentare quello che decide il Cdm».

Rush finale, con le ultime limature, per i primi decreti attuativi del Jobs act che arriveranno al Consiglio dei ministri della vigilia di Natale, insieme alla delega fiscale ed al decreto «importantissimo» per l'Ilva di Taranto, come indicato nella road-map del premier Matteo Renzi. «Al Cdm avremo tutto pronto», assicura anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che questa mattina ha incontrato il presidente del Consiglio nella sede del Pd in occasione degli auguri di Natale. Confronto e contatti sono ancora in corso.  Mentre dal fronte sindacale, il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, ribadisce la contrarietà rispetto alla riforma del lavoro (manifestata insieme alla Cgil anche con lo sciopero generale del 12 dicembre): «Dobbiamo dar vita ad un'altra resistenza facendo battaglie sul merito e non sulle ideologie, sul merito di un Jobs act iniquo», afferma con la «speranza di ritrovare anche la completa unità sindacale».

Sul tavolo il decreto sul contratto a tutele crescenti, che riscrive le regole (e l'entità) degli indennizzi e del reintegro superando di fatto l'articolo 18 nella gran parte dei casi di licenziamento ingiustificato, e quello sulla riforma dell'Aspi, con l'estensione della platea ai collaboratori e della durata del sussidio di disoccupazione (anche se resta da sciogliere il nodo delle risorse), con l'ipotesi di allungarla fino a 24 mesi. Il lavoro è ancora «in corso», viene spiegato, si tireranno le somme «entro domani sera, mercoledì mattina al massimo», prima della riunione del Cdm, convocato alle 10. L'indennizzo economico, come previsto dalla legge delega, sarà «certo» e «crescente con l'anzianità di servizio». Per le imprese oltre i 15 dipendenti, al momento si continua a parlare dell'opzione più quotata, ossia che, nel range 3-6 mesi di retribuzione già individuato per fissare l'asticella minima, si indichi quale punto di caduta 4 mesi: un minimo valido nella prima fase del rapporto di lavoro (dal 2015 partiranno gli sgravi triennali per le nuove assunzioni stabili) per evitare che le imprese possano trarre benefici da assunzioni e licenziamenti precoci.

Poi l'indennizzo aumenterà di una mensilità e mezzo o due (anche su questo si ragiona ancora) per ogni anno di lavoro, fino ad un massimo di 24 mensilità. Non è del tutto escluso che questi tetti possano essere ritoccati. La Cisl, ad esempio, continua a chiedere che si salga a 6-30. Da definire anche l'opting out, la possibilità cioè per il datore di lavoro, a fronte della condanna al reintegro per il licenziamento ingiustificato, di scegliere comunque di pagare l'indennizzo ma più alto.  Confermata, ad ora, l'indicazione che il reintegro, oltre che nei licenziamenti nulli e discriminatori (mai in discussione), resti in quelli disciplinari ingiustificati quando i giudici stabiliscano che «il fatto materiale non sussiste». «Dirimente è il superamento di ogni forma di garantismo del posto di lavoro a prescindere, perchè costituisce un pesante fattore di inibizione per le nuove assunzioni», dichiara il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Area popolare), che spinge sul superamento del «Novecento ideologico»: «Al netto delle discriminazioni il rapporto di lavoro deve sempre potersi risolvere anche attraverso un adeguato indennizzo in assenza di giusta causa o di giustificato motivo». Il Jobs act, «anzichè essere solo scritto dal Governo con la mano destra, riteniamo debba anche essere scritto con quella sinistra», afferma invece il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che nel pomeriggio ha incontrato Poletti.

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