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Renzi blinda l'Italicum, ma la minoranza è pronta a non votare

Sulle leggi costituzionale ed elettorale il premier ottiene il sì della direzione ma non quella della minoranza. "I sondaggi mi vedono in calo? Non mi preoccupo", ha detto

ROMA. Serrare l'Italicum con un occhio alla minoranza Pd e l'altro a Silvio Berlusconi. Aprire ai 5 stelle che non condividono il blog di un Grillo finito contro il muro del 40% dei consenti al Pd, un warning sui pericoli della nuova destra di Matteo Salvini che guarda a Marine Le Pen. Sullo sfondo la partita per il nuovo presidente della Repubblica che Matteo Renzi vuole giocarsi con in cassaforte il sì del Senato alla legge elettorale.  Il premier-segretario si avvia ad affrontare un dicembre di fuoco per un percorso delle riforme che vuole, oggi più che mai, «senza indugio». Un punto sul quale il premier ottiene il sì della Direzione Pd ma non quello della minoranza Dem che decide di non votare l'odg sui tempi di riforme costituzionali e legge elettorale.

Ma «Italicum 2.0» - così lo definisce Renzi - dopo l'accordo di maggioranza e il rinnovamento del patto con FI - «non è rinegoziabile», è l'avvertimento che il premier-segretario lancia dentro e fuori il Nazareno. Rimettere in discussione i termini dell'accordo sulla legge elettorale, incalza, vorrebbe dire - citando il gioco del Monopoli - «azzerare tutto e ritornare al Vicolo Corto senza passare dal via». Ed è per questo che Renzi sigilla tempi e contenuti del percorso chiedendo un voto alla Direzione che si concentri proprio sulla rapidità del treno delle riforme. Una scelta presa nella segreteria convocata nel pomeriggio subito prima della Direzione e che, tuttavia, trova la ferma l'opposizione della minoranza. «Ma il Patto del Nazareno esiste ancora?», incalzano gli esponenti della sinistra Democrat, da Zoggia a Cuperlo, mentre il bersaniano Alfredo D'Attore si spinge oltre e attacca: «se affrontiamo questa tema senza i condizionamenti di Berlusconi rispettiamo i tempi e lasciamo pure una Costituzione migliore». Ed è lo stesso D'Attorre, poco prima del voto, a riproporre in extremis i dubbi della minoranza trovando la replica immediata di Renzi che osserva: se non siete d'accordo con l'Italicum 2.0 «si pone un problema». E il problema, in realtà, rischierà di porsi nei prossimi giorni alla Camera e al Senato visto che la minoranza opta per negare il suo placet all'odg.

Ma la sortita di Renzi è anche un messaggio al leader di FI: nessun rallentamento, il percorso di Italicum e riforme rispetterà i tempi concordati. Renzi, insomma, opta ancora una volta di andare per la sua strada con un obiettivo: cambiare il Paese. Certo, ammette, forse negli ultimi tempi è stato dato maggior peso alle questione di merito senza un offrire un «racconto» agli italiani. Un racconto che, proprio come alle Europee, contrappone il messaggio di «speranza» del Pd a quello della «rabbia» del suo avversario. Solo che ora è l'avversario ad essere cambiato.

Non più Beppe Grillo «saltato» dopo aver «sbattuto contro il muro del 40%» ma la Lega di Matteo Salvini. «Una destra europea» che «danza» con quella di Marine Le Pen e che «non va sottovalutata» ma «guardata dritta negli occhi, senza paura», sottolinea Renzi trovando, in questo caso, il conforto della minoranza Pd. Conforto che non arriva quando il premier torna a sottolineare come l'astensionismo in Emilia-Romagna, pur «preoccupante», non «derivi dalla disaffezione per il Jobs Act» nè dallo scontro con i sindacati. Ma, prosegue il premier quasi a ribadire la convinzione nelle sue scelte, «i sondaggi non mi preoccupano, continuerò ad andare in giro per l'Italia, senza fermarmi». E la meta, rimarca, non è l'elezione anticipata, ma il cambiamento radicale dell'Italia e, al tempo stesso, la proposta di un nuovo modello della sinistra in Europa. I passi del prossimo futuro saranno delicati, e anche per questo Renzi non vuol precludersi alcuna via, ribadendo la volontà «di coinvolgere chi, nel M5S, non ha nel blog la propria bussola» ma trovando, per ora, lo scetticismo del Movimento.

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