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Nessun intervento su pensioni e statali
Renzi: nuove tasse? Chiacchiere estive

ROMA. La via maestra per recuperare risorse per il 2015 è, e resta, quella della revisione della spesa. E proprio sulla 'fase 2' della spending review si concentrerà nelle prossime settimane l'attenzione del governo. Niente interventi sulle pensioni, insomma, ("chiacchiere estive" le liquida il premier Matteo Renzi) e nemmeno sugli statali, come chiarisce il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio ("nessuna novità di rilievo, a Palazzo Chigi non sono arrivate proposte in tal senso dai ministeri competenti").    
Dopo le polemiche degli ultimi giorni proprio su queste voci, e relative barricate alzate dai sindacati (si delinea un autunno caldo, dice Susanna Camusso mentre Raffaele Bonanni invita a tagliare gli sprechi invece di insistere con interventi spot che producono solo iniquità), a ribadire che "non c'è alcuna ipotesi di lavoro nel governo e al Mef per intervenire sulle pensioni" è anche il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta, secondo il quale comunque, non ci sarebbe niente di male a chiedere un contributo ai redditi alti, nel momento in cui si sta cercando di riformare il sistema degli ammortizzatori sociali e si vorrebbe introdurre una maggiore flessibilità in uscita "anche se con delle penalità".    
Baretta ricorda anche che la manovra per il 2015 farà leva sulla spending review, ma pure su altre fonti, dal calo dello spread (si ipotizza una minore spesa per interessi di almeno due miliardi) al maggior incasso Iva grazie al pagamento dei debiti P.A. e all'ecobonus (si parla di almeno 3 miliardi di Iva in più). E rilancia l'ipotesi di un intervento sugli sconti fiscali: "E' una delle opzioni sul tavolo" perché non si può più "immaginare che detrazioni sui mutui, per le spese veterinarie o le palestre" vadano a tutti "a prescindere dal reddito". Di deciso, comunque, al momento non c'è nulla. Nemmeno sulla revisione della spesa ("800 miliardi sono troppi" dice il premier, spiegando che bisogna "gestire meglio i denari") anche se le indicazioni ci sono tutte: sul tavolo ci sono infatti le proposte del commissario Carlo Cottarelli, che spaziano dalla 'giungla' di partecipate locali da sfoltire (risparmi stimati 2-3 miliardi in 3 anni) alla razionalizzazione degli immobili delle regioni, ma anche a progetti di efficientamento (e quindi risparmio) energetico, al piano sull'illuminazione pubblica (senza 'spegnere i lampioni'). Senza dimenticare il processo dei fabbisogni standard da portare a compimento e la stretta che andrà operata per razionalizzare ulteriormente l'acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione. E se i conti alla fine non dovessero tornare (l'obiettivo è raggiungere 16-17 miliardi di tagli l'anno prossimo, che diventerebbero 32 nel 2016) come ultima ratio anche la sanità, sul fronte degli acquisti, potrebbe essere chiamata a un nuovo contributo. Certo, il comparto è in qualche modo 'blindato' dal nuovo Patto per la salute in cui si fissa il finanziamento del triennio e si specifica che eventuali risparmi dovranno restare alle Regioni per reinvestirli in sanità. Ma si lascia aperta la porta a eventuali modifiche "che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico". Certo, gli uomini del Tesoro ricordano comunque che la sanità in questi anni ha già dato molto e che si cercherà di fare in modo di non chiamarla a ulteriori sacrifici, peraltro difficilmente digeribili.     
La scelta su dove incidere con il 'bisturi' sarà comunque tutta politica, e non arriverà prima di settembre. Quella della spending review sarà una operazione molto ampia e ambiziosa visto che, si fa notare, l'obiettivo resta quello di recuperare risorse sul fronte della spesa senza aumenti di tasse. E che prenderà corpo una volta che si avrà davanti la revisione dei conti pubblici da parte dell'Istat. I nuovi standard di calcolo, che includeranno anche le attività illegali, certo un po' potranno aiutare ma, si ragiona, non faranno venire meno l'impegno sul fronte delle riforme per spingere la crescita.

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