ROMA. I «gufi», gli amanti dello status quo, i burocrati che pensano che «il mondo si cambia con 42-43 decreti». Matteo Renzi non fa i nomi dei «nemici» ma descrive, con molte battute e qualche attacco, i frenatori che remano contro o non credono alla sua svolta, politica ma ancor prima culturale. E che gli hanno impedito - spiega - di mettere i soldi in tasca ai lavoratori prima delle elezioni europee. Ma, come successo per la legge elettorale, il premier alza ancora una volta la posta, convinto di vincere la battaglia: o riesco a fare in 100 giorni «un'operazione di portata storica», riforma del Senato inclusa, o chiudo con la politica.
Ci ha provato fino a stamattina Renzi ad accelerare procedure tecniche e strumenti di legge per approvare, in consiglio dei ministri, anche il pacchetto fiscale. L'obiettivo, da capo del governo ma anche da leader del Pd, era affrontare la campagna elettorale con il miglior biglietto da visita: abbassare le tasse e dimostrare all'Europa che il governo, pur rispettando i parametri, non si fa dettare i compiti a casa dai burocrati di Bruxelles. «Sono stato respinto con perdite», ammette il presidente del consiglio che ha solo spostato di un mese l'orizzonte del suo impegno. D'altra parte nemmeno il cambio di guardia a Palazzo Chigi ha modificato i tempi della sua prima sfida: l'approvazione della legge elettorale alla Camera. «Avevo previsto il 28 febbraio, ho 12 giorni di ritardo, scusate ma erano 8 anni che aspettavamo», rivendica aggiungendo che, a differenza del passato e a dispetto delle tensioni politiche, il governo non è mai andato sotto.
Da domani il percorso sarà ad ostacoli ma Renzi, come ripetono i suoi, si esalta nelle sfide. Con l'aggiornamento del Def il premier punta a smussare i timori di quanti l'hanno messo in guardia rispetto ai limiti europei, determinato ad ottenere dall'Europa un «ampio consenso» per una riforma strutturale di tale portata, dal lavoro alle imprese passando per il suo chiodo fisso delle scuole. L'unico consiglio arrivato dal Colle, infatti, spiegano fonti parlamentari, era di mettere attenzione alla coerenza complessiva del pacchetto soprattutto guardando alla valutazione dell'Europa. Di problemi di copertura Renzi non ne vuole neanche sentir parlare. E, assicurano i suoi, il premier continuerà a lavorare ai fianchi del commissario Carlo Cottarelli, al quale il leader Pd chiede 7 miliardi di risparmi per il 2014 ma che per ora, «molto prudenzialmente», sostiene Renzi, si è fermato a 3 miliardi. Per questo, raccontano fonti parlamentari, il commissario alla spending review traslocherà dal Tesoro a Palazzo Chigi proprio per aumentare la collaborazione tra l'uomo dei tagli e il presidente del consiglio che vuole disboscare gli sprechi della macchina dello Stato. E «cambiare l'Italia per cambiare l'Europa», secondo uno degli slogan delle slides dentro le quali l'ex sindaco di Firenze racchiude la sua sfida, incassando in cdm il via libera dei suoi partner di governo. Il confronto parlamentare è poi l'ultimo dei timori del premier: ce l'ho fatta con la legge elettorale, «voglio vedere - dice ai suoi - chi dirà no a soldi in più a chi ne ha bisogno».
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