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Il governo Renzi ottiene la fiducia alla Camera con 378 sì e 220 no

ROMA. Incassata la fiducia al Senato Matteo  Renzi fa il bis a Montecitorio con 378 sì, 220 no ed un  astenuto ottenendo il disco verde dal Parlamento per il suo  governo. Il premier si presenta alla Camera per lanciare la sua ultima  e decisiva sfida per cambiare l'Italia, in quell'Aula che, ammette, gli fa tremare le gambe.


«Abbiamo una sola chance da cogliere qui e adesso», avverte: quell'ultima occasione offerta  dai segnali di ripresa per «fare l'unica cosa che possiamo fare,  cambiare profondamente il nostro Paese, il sistema della P.A., quello della giustizia, del fisco,  cambiare profondamente nella concretezza la vita quotidiana di  lavoratori e imprenditori». Un programma che vorrebbe tanto  sintetizzare in tre tweet, se non fosse che i 140 caratteri  concessi mal si conciliano con la mole di cose che vuole dire e  soprattutto pensa di fare.   


Ma dopo il discorso 'choc' tenuto al Senato promette di  volersi mantenere sul «bon ton istituzionale». Dice di provare  «vertigini e stupore» per l'onore che gli viene concesso di  sedere in un luogo in cui è stata fatta la storia del Paese. Ma  dove ora si dovrà aprire un nuovo capitolo. In cui, auspica, sia  possibile «tentare di fare uno schiocco delle dita tutti  insieme, come la Famiglia Addams». Ma è la stessa Aula che gli riserva oggi i durissimi attacchi,  le provocazioni dei Cinque Stelle. La stessa Aula che accoglie  con una lunga ovazione l'ingresso in aula di Pier Luigi Bersani. E che assiste all'abbraccio tra l'ex segretario del Pd e l'ex premier, Enrico Letta, che si siede al suo posto senza  degnarlo di uno sguardo. Anche lui accolto da un caloroso  applauso dell'emiciclo.


Renzi non si fa cogliere di sorpresa: si  alza per abbracciare l'ex segretario e durante la sua replica  non manca di ringraziare il suo predecessore «in modo chiaro ed  inequivoco». I risultati del voto diranno poi che, anche se sul  filo, Letta avrà battuto sulla fiducia Renzi per un solo numero. E, sempre in Aula, il neo premier cadrà nel primo 'tranellò  dei Cinque Stelle: crede di poter trovare una 'spondà nel  vicepresidente della Camera 'grillinò Luigi Di Maio e gli invia  un biglietto in cui, incurante del trattamento già riservato a  Bersani, tenta un provocatorio aggancio. «Scusa l'ingenuità caro  Luigi. Ma voi fate sempre così? Io mi ero fatto l'idea che su  alcuni temi potessimo davvero confrontarci. Ma è così oggi per  esigenze di comunicazione o è sempre così ed è impossibile  confrontarsi?».


Il Cinque Stelle gli risponde picche e poi, se  non bastasse, pubblica il 'carteggiò su Facebook. Un attacco che segue allo 'sberleffò dei Cinque Stelle oggetto di un nuovo battibecco con la Presidente Boldrini che li  ferma quando arrivano a definire il premier e il neo ministro  del Tesoro «due figli di troika». Renzi si toglie però il suo  sassolino dalle scarpe e ribatte: «Quando ho perso alle primarie  con Pierluigi Bersani lui non mi ha espulso e il fatto che  Bersani sia qui, avendo idee diverse dalle mie su molte cose, è  un segno di stile e rispetto non personale ma politico. Siamo il  Pd».    


I pentastellati voteranno, ovviamente, il loro no alla fiducia. Così come Forza Italia. Il democrat Pippo Civati conferma il suo  voto, anche se molto polemico: «sognavo anche io che la nostra  generazione arrivasse fin qui. Ma con le elezioni e non con una  manovra di Palazzo». Non è il solo, tuttavia, dentro il partito  a storcere il naso. «Ho espresso il mio voto di fiducia al  governo esclusivamente per disciplina di partito e di gruppo»  dice, ad esempio, il lettiano Marco Meloni. Anche i 'popolarì: assicurano la fiducia ma, avvertono: «la  velocità è necessaria anche in politica. Tuttavia non è inutile,  mentre si corre, sapere dove si vada».    

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