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Berlusconi, la giunta: "Sì alla decadenza"

ROMA.  Dopo quasi sei ore di camera di consiglio, la Giunta per le Immunità del Senato con 15 «si» e 8 «no» dà il primo via libera alla decadenza di Silvio Berlusconi dal mandato di parlamentare. Il Cav non incassa in silenzio e passa al contrattacco: «È una decisione indegna», sbotta, «vogliono eliminarmi, è stata colpita al cuore la democrazia». «Ricorreremo alla Corte Europea». 
Anche il Pdl sale sulle barricate. E lo fa con dichiarazioni di fuoco, pur non agitando più lo spauracchio delle dimissioni di massa. Il capogruppo Renato Schifani contesta i senatori del M5S che durante la riunione della Giunta twittano contro l'ex premier e se la prende con il presidente del Senato Piero Grasso per non aver sospeso la seduta.    A far andare la tensione alle stelle in un clima già arroventato ci si mettono, infatti, i senatori grillini Vito Crimi e Mario Michele che, durante i lavori della Giunta, postano su Fb e twitter foto e messaggi facendo andare i piediellini su tutte le furie. Giarrusso «consegna» ai social network la foto di lui ai banchi della Giunta che sorride accanto alla collega Serenella Fucksia. Mentre Crimi opta per l'immagine di un poster con la scritta «Silvio non mollare» per fare illazioni sullo stato di salute di Berlusconi e su ipotetiche disfunzioni gastro-intestinali del leader Pdl.   
Le reazioni sono furibonde. Schifani e poi Brunetta chiedono che si sospenda immediatamente la Camera di Consiglio. E tra i parlamentari del centrodestra si alza un coro di condanna. Il presidente della Giunta Dario Stefano però va avanti. I tweet di Crimi e Giarrusso, spiega a fine seduta, non sono stati «un motivo sufficiente» a stoppare i lavori. Anche perchè Crimi si è difeso dicendo di averli trasmessi prima della camera di consiglio durante la quale si deve mantenere il più assoluto riserbo. Stefano stigmatizza l'accaduto: chi è nelle istituzioni dovrebbe evitare di creare frizioni. Ma non calca la mano: lui è ancora il relatore e non vuole dare giudizi. Il portavoce di Piero Grasso, Alessio Pasquini (Grasso è ad Assisi con il Papa), è più duro. Definisce il gesto «inqualificabile e gravemente offensivo» e annuncia l'apertura di un'istruttoria che viene salutata con favore da Schifani.    Twitter a parte, il clima in Giunta non viene descritto come tesissimo visto che ci si abbandona a qualche goliardia, sempre con Giarrusso come protagonista. Si racconta, infatti, che gli sia stato fatto credere, dopo che era rientrato dalla toilette, che il voto nel frattempo ci fosse già stato e che solo di fronte alla sua reazione sconcertata, si sia ammesso che si trattava di uno scherzo.    
Al voto comunque si arriva davvero, sia sulla decadenza, con 15 sì e 8 no, sia sui 5 punti del ricorso di Berlusconi che vengono votati uno a uno ma con maggioranze lievemente diverse. Stefano esce e legge il «verdetto» di fronte a decine di cronisti e cameramen che «assediano» palazzo Madama dalle 8 di stamattina. Il regolamento è stato rispettato, assicura. La legge Severino è stata applicata e il Cav deve decadere. Almeno, questa è la proposta che i «commissari» faranno all'Aula dopo che lui avrà messo a punto la relazione che dovrà avere ancora un passaggio formale in Giunta. Poi toccherà all'Assemblea dire la parola definitiva con uno scrutinio che, a norma di regolamento, dovrebbe essere segreto (riguarda la persona), ma che Pd e M5S vorrebbero palese.   
Schifani parte al contrattacco: «La decisione è squisitamente politica», assicura. E l'istruttoria interna annunciata dalla presidenza del Senato dovrà essere fatta. Berlusconi resta comunque «l'unico leader del centrodestra». E il Cavaliere che, che in seduta pubblica non aveva fatto parlare neanche i suoi avvocati, alla fine esplode: «Quando si viola lo stato di diritto si colpisce al cuore la democrazia«.   
 I “suoi” al Senato però, nonostante le dichiarazioni al vetriolo, off the record assicurano che di dimissioni di massa non se ne parla più. «Dopo che lui ha consegnato il partito nella mani di Alfano ora puntiamo solo al congresso».

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