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Berlusconi a sorpresa: "Fiducia a Letta"

ROMA. "Mettendo insieme le aspettative e il fatto che l'Italia ha bisogno di un governo che produca riforme istituzionali e strutturali abbiamo deciso non senza interno travaglio per il voto di fiducia''. Berlusconi ci ripensa. E al termine delle dichiarazioni di voto in Senato, annuncia di dare la fiducia a Letta. Il governo incassa 235 voti a favore e 70 contro.
Berlusconi Prende la parola in prima persona per le dichiarazioni del Pdl in Aula al Senato. Quando viene annunciato il suo nome dai banchi del M5s si leva qualche 'buu'. Poi, un problema tecnico: il microfono non funziona. 'Voce', gridano dall'Aula. Il Cavaliere prova a più riprese ad accendere il microfono, poi è costretto a scalare di due posti e parlare da un altro scranno. Abbiamo dato vita a questo governo anche nella "speranza che potesse cambiare il clima di questo Paese" per andare "verso la pacificazione" e questa "speranza la conserviamo ancora". Così Silvio Berlusconi, in Senato.


NASCE IL GRUPPO DEGLI "ALFANIANI" - Nasce il gruppo degli 'Alfaniani« del Pdl, i  deputati che si richiamano alle posizioni del segretario del  partito, Angelino Alfano. I componenti, secondo quanto si  apprende, sarebbero 26. Ecco la lista: Angelino Alfano, Gioacchino  Alfano, Paolo Alli, Maurizio Bernardo, Dorina Bianchi, Antonino  Bosco, Raffaele Calabrò, Giuseppe Castiglione, Fabrizio  Cicchitto, Enrico Costa, Nunzia De Girolamo, Riccardo Gallo,  Vincenzo Garofalo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi, Dore  Misuraca, Antonino Minardo, Alessandro Pagano, Filippo Piccone,  Vincenzo Piso, Sergio Pizzolante, Eugenia Roccella, Barbara  Saltamartini, Rosanna Scopelliti, Paolo Tancredi, Raffaello  Vignali.

FUORI DALL'AULA. "Nessuna marcia indietro". Così Silvio Berlusconi, lasciando il Senato, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano conto del voto di fiducia accordato al governo Letta.  Ai cronisti che gli chiedevano se fosse confermata la manifestazione di venerdì 4 ottobre organizzata per protestare contro il voto di decadenza dal suo mandato di parlamentare che potrebbe uscire dalla Giunta per le Immunità del Senato ha detto: "Dobbiamo decidere".

IL DISCORSO DI LETTA. «L'Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, sventare questo rischio dipende da noi, dalle scelte che assumeremo, dipende da un sì o un no». Reduce da una notte in bianco, Enrico Letta chiede al Senato di rinnovargli la fiducia per non mettere a repentaglio la ripresa e per non far sedere nuovamente l'Italia «sul banco degli imputati». È quasi una sfida a Berlusconi, la sua, ad andare fino in fondo: «Il governo è nato in Parlamento e , se deve morire, deve farlo qui in Parlamento». Poi, nella replica, quando ormai è chiaro che nelle file del Pdl si è consumata la frattura, il premier certifica che «la maggioranza è cambiata» e che ora ci sono «nuovi numeri». «Mi ha portato qui la convinzione che era meglio cadere piuttosto che arrivare a una soluzione di basso profilo», dice. Non rinuncia a una bordata contro le scomuniche a chi ha deciso di votare la fiducia: la rivolge al M5s, ma si adatta perfettamente anche a Berlusconi:  « Il rispetto della libertà della persona è la base della democrazia. Non ne posso più di sentire lezioni di morale da  chi minaccia perchè qualcuno ha cambiato idea». Nel suo discorso Letta spiega che per uscire dalla crisi «serve un vero e proprio nuovo patto di governo» , con al centro il valore della stabilità. «Il Paese - dice Letta - è stremato dai conflitti di una politica ridotta a continui cannoneggiamenti ma immobile e ripiegata su stessa. Ora basta con la politica di trincea, concentriamoci su ciò che dobbiamo fare» Non fa sconti, il premier, sulle vicende giudiziarie del leader Pdl: «Si è creata una situazione insostenibile, i due piani non possono essere sovrapposti. La nostra repubblica si fonda sullo Stato di diritto e in uno Stato di diritto le sentenze si rispettano e si applicano, fermo restando il diritto intangibile alla difesa che è concesso a un parlamentare come a qualsiasi altro cittadino, senza leggi ad personam nè contra personam». Sulla giustizia (altro tema sensibile per Berlusconi) Letta concede una ripresa delle indicazioni del gruppo di saggi che furono insediati da Napolitano nel marzo 2013 prima della formazione del governo.  L'appello Letta ai senatori è tutto declinato intorno al valore della stabilità: cita la Germania, «che dal '92 a oggi ha avuto solo tre cancellieri mentre da noi ci sono stati 14 governi, un altro spread che pesa eccome». Mandare il governo a casa, dice «significherebbe contrarre l'orizzonte, rinviare le misure per la ripresa e sedersi di nuovo sul banco degli imputati in Europa e nel mondo». Mandare via il governo, insiste, significherebbe «rinunciare a una riforma delle istituzioni» che non è stata mai così a portata di mano («12 mesi da oggi», assicura). Senza dimenticare che «in caso di crisi potremmo scivolare verso elezioni che consegnerebbero il paese a una situazione di ingovernabilità», per colpa di una legge elettorale che non è in grado di indicare un vincitore.  Ma non è solo la possibilità (e la necessità) di ammodernare la Costituzione e cambiare il Porcellum a sconsigliare la crisi. In cima ai pensieri di Letta c'è la ripresa economica da agganciare e il semestre europeo a guida italiana da onorare. «L'Italia è ora avviata a una graduale ripresa, abbiamo alle spalle un incubo, abbiamo perso otto punti di Pil e un milione di posti di lavoro, ora abbiamo l'obiettivo di una crescita dell'1% nel 2014 e superiore negli anni a venire». Impegni che Letta si prende promettendo che l'Italia rispetterà i vincoli europei e resterà sotto la soglia del 3% dell'indebitamento. Per farlo punterà alla riduzione della spesa pubblica con un piano che verrà affidato al nuovo commissario per la spending review Carlo Cottarelli, dirigente del Fondo monetario internazionale. Letta promette un calo delle tasse: in primo luogo quelle sul lavoro «sia dal lato delle imprese sia su quello dei lavoratori». Sull'aumento dell'Iva (casus belli scelto da Berlusconi per far dimettere i ministri) non si pronuncia: dice solo che procederà a una «revisione complessiva delle aliquote». Un accenno, un pò di sfuggita, anche sull'Imu, quando dice che sarà «confermata la rotta» fin qui seguita.  Poi elenca i provvedimenti presi nei suoi cinque mesi di guida del governo per far ripartire l'economia. E dice ai suoi critici, interni ed esterni: «Siamo stati tutt'altro che il governo del rinvio». Per convincere i dubbiosi Letta gioca poi la carta europea: «Nel 2014 l'Italia assumerà la presidenza dell'unione Europea. La prossima voltà sarà tra 15 anni. Non possiamo permetterci di far tacere o mancare la voce dell'Italia». Con un avvertimento: «Non possiamo avere un'influenza in Europa senza credibilità o credibilità»  A sigillo finale del suo discorso, le parole di Benedetto Croce alla costituente: quelle con cui il filosofo liberale, l'11 marzo del 1947, ammonì i costituenti a non prepararsi , «con un voto poco meditato» a «un pungente e vergognoso  rimorso».

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