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Letta,non accetterò appoggi esterni,patti chiari o fine

ROMA.  Una maggioranza politica ampia, con assunzioni di responsabilità chiare e condivise e con un orizzonte temporale non certo di sette giorni, ma che porti almeno all'inizio 2015, quando sarà archiviato il semestre italiano di presidenza dell'Ue.
Enrico Letta ribadisce i paletti piantati in direzione del centrodestra, pronto a lasciare qualora Berlusconi, pressato da Alfano e dalle colombe del Pdl, proponesse l'azzardo di un appoggio esterno e i 'moderatì del centrodestra tirassero i remi in barca. E non è detto che per capire che i numeri non ci sono, attenda un voto di sfiducia. Insomma, il premier non intende 'bruciarsì, nè tantomeno farsi logorare.    
Se poi nel Pdl si formasse un gruppo di 'scontentì della linea oltranzista del Cavaliere, ben venga il loro sostegno, ma a condizione che rientri nello schema delle larghe intese, anche se con un perimetro numericamente ridotto rispetto all'attuale maggioranza. Letta, d'accordo con Napolitano, ha concesso al Pdl un giorno in più.
Nella speranza che la fronda anti-falchi portasse alla formazione di un gruppo di filo-governativi e moderati. Ma nel centrodestra la situazione appare persino più confusa di ieri. I contatti con Alfano non hanno chiarito i contorni di una partita tutta interna alla nascitura Forza Italia. Bisogna restare dunque ai fatti e i fatti, al momento, non permettono di fare alcuna previsione: di sicuro al premier non sono ancora arrivati quei segnali netti e inequivocabili di rottura che forse si sarebbe aspettato dagli (ex) ministri piediellini, capeggiati da Angelino Alfano. Perlomeno non ancora. Non che la speranza sia tramontata del tutto, ma al momento il quadro è quantomeno confuso.   
Per la verità anche l'intervento di Berlusconi davanti ai suoi parlamentari non ha fatto luce sulle reali intenzioni del Cavaliere. Certo, quella frase a lui attribuita sulla fine dell'esperienza di governo, accompagnata da quella proposta di varare in 7 giorni i provvedimenti necessari al Paese, rende più concreti i timori del premier che da qualche giorno intravede una trappola in cui non intende cadere: quella dell'appoggio esterno. Ecco perchè manda a dire chiaro e tondo che lui una simile ipotesi non intende prenderla neanche in considerazione. «O entrano nel governo o arrivederci», tagliano corto fonti che hanno parlato con Letta.    
Quanto alla questione della fiducia, il quadro non è ancora chiaro: «Alla fine è probabile che ci arriveremo, su qualche mozione dei gruppi», spiega una fonte che ha parlato con Letta. Ma non è scontato: «Perchè se da dibattito emergerà con chiarezza che i numeri non ci sono, meglio prenderne atto, salire al Colle e rassegnare le dimissioni», riferisce la stessa fonte. Perchè, chiarisce un altro lettiano della prima ora, «per altre esperienze di governo, basate su numeri meno stabili e con prospettive di più corto respiro, ci sono persone più adeguate di lui». Un modo per dire che a 47 anni, Letta non intende immolarsi sull'altare di un governo che rischia di dover chiedere altri sacrifici mentre Berlusconi lo impallina dall'opposizione.    
Di sicuro, il premier vuole uscire dalla giornata di mercoledì con un quadro chiaro: che sia l'attuale maggioranza, o una riedizione in versione ridotta delle larghe intese o ancora la fine dell'esperienza di governo, importa fino ad un certo punto. Nel senso che non dipenderà più da lui. L'importante è che si esca da questa incertezza che, come dimostrano i numeri sui mercati, penalizza il Paese.

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