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Bersani rassegna le dimissioni

Il segretario: "Abbiamo prodotto una vicenda di gravità assoluta, sono saltati meccanismi di responsabilità e solidaretà, una giornata drammaticamente peggiore di quella di ieri"

ROMA. A fine giornata, quando il nome di Romano Prodi è bruciato ed il Professore sbatte la porta per un nuovo voto sul suo nome, si scopre che l' applauso, descritto come unanime, nell' assemblea mattutina era solo di facciata. Il Professore finisce vittima della ' guerra' interna al Pd o, come meglio dice Paolo Gentiloni, del ' cupio dissolvi' di un partito che ha ormai perso la bussola. A sera Bersani ne trae le conseguenze e dopo aver rivolto accuse durissime, annuncia il suo 'non ci sto' spiegando che subito dopo il voto per il Colle si dimetterà dall'incarico.
Lo fa nell'assemblea infuocata dei grandi elettori - vero e proprio gabinetto di guerra - durante il quale fa esplodere tutta la sua rabbia: "uno su quattro ha tradito, questo è troppo. Non lo accetto". L' ennesima giornata nera del Pd, il " funerale definitivo" secondo l' immagine che gira in Transatlantico, si apre con l' assemblea dei Grandi Elettori che prova ad uscire dalla prima botta della bocciatura di Franco Marini. Ma, spiegano fonti dem, in un partito già tramortito, un colpo in più l' ha dato la decisione di non mettere ai voti la scelta di Romano Prodi.
"Bersani - spiega un dirigente - ha forzato perché gli accordi di ieri sera erano che si sarebbe votato a scrutinio segreto su più nomi". Ed invece il segretario ha proposto solo il nome di Prodi e Luigi Zanda, a quanto si apprende, ha chiesto alla platea se era il caso di continuare con lo scrutinio segreto. "L' applauso di una decina di prodiani - raccontano - ha chiuso il dibattito, peccato che metà assemblea è rimasta seduta". Una scena davanti alla quale una dei massimi sponsor della candidatura del Professore, Rosy Bindi, che poi si dimette dalla presidenza del partito, ammette che sarebbe stato meglio votare. Perché da quel momento in poi, nonostante i tentativi di assorbire i dissensi e di richiamare alla linea, la frattura, già aperta ieri, diventa una voragine.
I dalemiani nascondono a mala pena la rabbia, ma è chiaro che nei 98 voti in meno si sommano più rese dei conti. I renziani, sostiene Matteo Richetti, vedono un "segnale" contro il sindaco, che ieri aveva affossato Marini, Giuseppe Fioroni se la prende con Renzi che rottama " come un giornale vecchio" l' ex premier dopo la bocciatura e con Nichi Vendola che sponsorizza Prodi. D' altra parte, oltre che il Pd, sembra esplosa anche l' alleanza con Sel, che ieri ha votato Rodotà rompendo, secondo i dem, i patti siglati in campagna elettorale. E, in un gioco di veleni, si arriva a pensare ad un asse Renzi-D' Alema per far saltare anche Prodi e poi arrivare alla candidatura dell' ex ministro degli Esteri che dà il mandato al sindaco di Firenze.
Nel vertice serale, il gruppo dirigente del partito cerca una quasi impossibile via d' uscita avviando i contatti con gli altri partiti (per un'intesa o su Stefano Rodotà o su Cancellieri) anche perché il segretario amaramente osserva che "noi, da soli, il presidente della Repubblica non lo eleggiamo". Domani, intanto, la quinta votazione registrerà l'astensione di Democratici che comunque non abbandonano la speranza che a 'pacificare' la situazione sia un bis di Giorgio Napolitano.

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