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Monti: no al reintegro, eviteremo abusi

Nel giorno finale della trattativa con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro non cede al pressing di Pd e Cgil. I dettagli sull’articolo 18 saranno discussi in Consiglio dei ministri

ROMA. Nessuna possibilità di riottenere il posto in caso di licenziamenti per motivi economici. Il premier Mario Monti, nel giorno finale della trattativa con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro, assicura che il governo farà di tutto per evitare ogni tipo di abuso ma non cede al pressing di Pd e Cgil sulla questione più delicata, quella del reintegro dei lavoratori. E annuncia che i dettagli sull'articolo 18 saranno discussi solo domani (venerdì) direttamente in Consiglio dei ministri.    
Un Consiglio dei ministri che però non dovrebbe concludersi con il varo della la riforma del lavoro per la quale, ha spiegato Elsa Fornero, bisognerà attendere un successiva riunione del governo. Mentre si registrano le prime proteste nelle fabbriche e anche i Vescovi non nascondono perplessità, si ingrossa il fronte a favore del modello tedesco (quello appunto che prevede il reintegro dei lavoratori) con la Cisl che apre alle posizioni di Susanna Camusso e Pier Luigi Bersani e a cui però fa da contrappunto Confindustria che invita l'Esecutivo a non fare marcia indietro. E se il Pd continua a essere percorso da divisioni, spaccata, inevitabilmente, continua a essere anche la maggioranza: il segretario del Pdl Angelino Alfano sprona l'Esecutivo ad andare avanti, e per di più via decreto legge, senza curarsi dei veti di Cgil e Pd. "Se Bersani - dice l'ex Guardasigilli - desidera fare come vuole, deve prima vincere le elezioni e fare le riforme col suo governo".   
Cambiare le regole del mercato del lavoro è una partita complessa nella quale un ruolo chiave è svolto anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: e così, per la seconda volta nel giro di pochi giorni, Monti e il ministro del Welfare Elsa Fornero, prima di incontrare le parti sociali a Palazzo Chigi, salgono al Quirinale. E contatti con il Colle, in una perenne triangolazione con Palazzo Chigi, li tiene anche il leader dei Democratici: sul tavolo, oltre i contenuti della riforma, ci sono infatti anche gli strumenti e il Pd insiste nel chiedere un disegno di legge delega e non un decreto legge, i cui margini di discussione sono ristretti. Anche un riformista come Walter Veltroni mette in guardia dai "diktat", che non servono "né al Pd né al Parlamento". Le Camere, ribadisce Bersani, devono poter apportare correzioni. Insomma, "le rassicurazioni non bastano - avverte Cesare Damiano - servono le norme".   
Alla valanga di critiche, il governo (che incassa plausi però oltralpe da Bruxelles e dal Fondo monetario internazionale) cerca di fare fronte ricordando come le norme sui licenziamenti siano solo una parte del tutto e rivendicando la propria capacità di innovazione: "Sono tanti anni - dice in conferenza stampa Fornero - che si parla di ammortizzatori sociali, ma si stava sempre su quelli che c'erano". E alla fine, "il Pd sarà convinto - è l'auspicio - della bontà di questa proposta".    Fatto sta, critica la Cei con monsignor Giancarlo Bregantini, che per una riforma di questa portata "serviva più tempo e più dialogo" perché "i lavoratori non sono merce". Dure, anche se più prevedibili, sono le parole delle opposizioni: Antonio Di Pietro accusa il premier di essere "un padrone arrogante" e lo invita ad andare a casa, mentre la Lega parla di "controriforma".  

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