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Berlusconi si è dimesso

Il presidente del Consiglio ha rassegnato le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ne ha dato comunicazione il segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra. Il governo resta in carica per il disbrigo degli affari urgenti

ROMA. Silvio Berlusconi si è dimesso da  premier, in un susseguirsi di eventi incalzante e a tratti  drammatico: la colazione a Palazzo Chigi dove Mario Monti ha di  fatto respinto ad una ad una le richieste del Cavaliere per dare  il suo ok ad un esecutivo tecnico, l'ultimo brindisi da premier  con la sua maggioranza dopo il voto alla Camera sulla legge di  stabilità, il consiglio dei ministri per annunciare le  dimissioni, le contestazioni della piazza, l'ufficio di  presidenza con un partito in rivolta che dice un sì (anche se  condizionato) a Monti. E infine le dimissioni al Quirinale,  nella mani del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. E l'uscita  dal palazzo del Colle da un ingresso secondario.    


La prima tappa è stata quella che, a catena , ha poi  condizionato tutte le altre. Nel pranzo con Monti Berlusconi ha  cercato di mettere paletti, chiedere garanzie sulla giustizia e  su un governo con un preciso programma legato alla lettera alla  Bce. Un esecutivo fatto anche da politici, con dentro Gianni  Letta, che si impegni a non metter mano alla legge elettorale e  a nuove leggi sulle tv. Ma Monti è stato tanto cortese quanto  fermo: niente diritto di prelazione sulla scelta del  Guardasigilli (Berlusconi aveva indicato Nitto Palma o il  magistrato Iannini, moglie di Bruno Vespa), un prendere o  lasciare su una squadra tutta tecnica e da decidere senza  condizionamenti: ministri e sottosegretari. E un no rotondo  anche alla presenza di Letta, il boccone più indigeribile dal  Cavaliere che dal sottosegretario si sarebbe sentito garantito.    


A mani praticamente vuote il Cavaliere ha affrontato a quel  punto Umberto Bossi, in un drammatico scontro durante il quale  il premier ha cercato in ogni modo di respingere le accuse del  Senatur e di convincerlo, senza successo, a non spaccare  l'alleanza e ad appoggiare Monti. Circondato da molti di quelli  dai quali si sente 'tradito', un Berlusconi dalla mascella  sempre più serrata si è presentato in Aula alla Camera, nel  suo ultimo giorno da premier. E ha lasciato a bocca asciutta le  molte parlamentari che volevano sostenerlo, abbracciarlo o  consolarlo, andandosene di corsa a Palazzo Chigi per un  consiglio dei ministri lampo.    


Ancora amarezza, per il premier, nel breve tragitto tra la  sede del governo e la sua residenza romana, in mezzo alle  contestazione della folla. E infine il teso ufficio di  presidenza durante il quale Berlusconi si è trovato di fronte  ad un partito lacerato, al quale ha promesso in tutti i modi che  se per senso di responsabilità si dovrà camminare per forza  sulla strada del governo Monti (e non andare al voto come chiede  metà Pdl) lo si farà almeno con onore e ponendo condizioni.  Prima di salire a dimettersi al Colle, ancora contestato dalla  piazza, il Cavaliere ha promesso che si batterà per un governo  tecnico ma con un preciso programma ricalcato sugli impegni  presi nella lettera all'Europa e alla Bce, con dentro Gianni  Letta. Un governo con una scadenza, ha cercato di rendere meno  dura la resa ai suoi il Cavaliere, "al quale in ogni momento  saremo liberi di staccare la spina". 

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