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Berlusconi: “Dimissioni? No mi diverto”

Napolitano: “Turbato, si faccia al più presto chiarezza”. Il premier: “Non vado dai pm, il tribunale di Milano non è competente”

ROMA. Da un lato Silvio Berlusconi che ribadisce di non avere nessuna intenzione di farsi da parte a causa di un'inchiesta "eversiva" che ha l'unico scopo di "farlo fuori" e che vede nelle elezioni una extrema ratio. Dall'altro, il capo dello Stato Giorgio Napolitano che pur chiarendo di non voler entrare in alcun modo nel merito della vicenda, si dice "turbato" e chiede che sull'intera vicenda si faccia al più presto chiarezza. Ma è un appello, quest'ultimo, che in ambienti parlamentari viene interpretato anche come un implicito invito al premier a presentarsi davanti ai pm milanesi. Richiesta che il premier respinge sostenendo di non voler andare perché il tribunale di Milano "non è competente".      
La frenetica giornata di Silvio Berlusconi, al suo rientro a Roma, dimostra come il presidente del Consiglio abbia deciso di affrontare la tempesta: incontra il presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Turk; vede Luca Cordero di Montezemolo a palazzo Grazioli (per poi trarne la convinzione che non si allenerà mai con la sinistra); sale al Quirinale e racconta la sua verità al capo dello Stato. Infine riunisce tutti gli avvocati-deputati del Pdl per ragionare sul da farsi. Ed è dopo questa riunione che il Cavaliere, nonostante i dubbi di alcuni, si schiera con i suoi legali sula necessità di evitare i giudici milanesi.  Ed è qui che, si teme in alcuni settori della maggioranza, si rischia la rotta di collisione con il Quirinale.
"Il presidente della Repubblica - si legge nella nota del Colle - è ben consapevole del turbamento dell'opinione pubblica dinanzi alla contestazione, da parte della Procura della Repubblica di Milano al presidente del Consiglio, di gravi ipotesi di reato, e dinanzi alla divulgazione di numerosi elementi riferiti ai relativi atti d'indagine". E pur "senza interferire nelle valutazioni e nelle scelte politiche che possano essere compiute dal presidente del Consiglio, dal governo e dalle forze parlamentari" il capo dello Stato "auspica che nelle previste sedi giudiziarie si proceda al più presto ad una compiuta verifica delle risultanze   investigative".       
Parole che vengono lette a palazzo Grazioli come una netta presa di distanza dal Cavaliere. Una doccia fredda cui il premier vuole rimediare personalmente, sfruttando un incontro che (sottolineano al Quirinale e a Palazzo Chigi) era previsto da tempo per fare il punto su 'Italia 150'. Davanti al capo dello Stato Berlusconi professa la sua innocenza, sostenendo che negli atti non c'é nessuna evidenza di reato. Ma conferma anche di voler andare avanti. Napolitano ascolta, ma non cambia linea: si deve far chiarezza sull'inchiesta. Fermo restando che la situazione politica va tenuta distinta da quella giudiziaria. Il Cavaliere con i giornalisti  a Montecitorio chiarisce poi di non volersi dimettere ("ma siete matti?"); di essere sereno, anzi - aggiunge sarcastico - di "divertirsi" di fronte ad una inchiesta che è solo "mediatica". Ma la determinazione del premier ad andare avanti non gli impedisce di scorgere tutte le incognite che lo attendono: oltre al Quirinale, c'é il Vaticano. Su questo fronte, se il buon giorno si vede dal mattino, le previsioni non promettono nulla di buono. I commenti di 'Avvenire (''fare chiarezza" su fatti   "sconvoglenti") e Famiglia Cristiana ("il premier pensa che tutto gli sia permesso) nonché la pubblicazione da parte dell'Osservatore Romano del testo integrale della nota del Colle fanno chiaramente capire che la strada del Cavaliere dalle parti del Vaticano è sempre più in salita. Ma le incognite non finiscono qui, a cominciare dagli alleati. La Lega, in primo luogo, con le fibrillazioni del Carroccio sul federalismo. Per continuare con i dubbi nel Pdl di quanti si interrogano sul perché il Viminale non sapesse nulla delle indagini sul caso Ruby. Per finire con l'assalto del terzo   polo che ora punta chiaramente, insieme al Pd, alle dimissioni del presidente del Consiglio.     

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