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Da Palermo stoccata a Schifani: è un capocorrente

Bocchino lancia l’attacco alla presentazione di Generazione Italia in Sicilia. Le repliche di Vizzini e La Loggia. Cicchitto: basta con lo stillicidio di attacchi sul piano personale

PALERMO. Renato Schifani? Un "capocorrente". Anzi il capo di una "correntina".  Resta alta la tensione nel Pdl: i seguaci di Gianfranco Fini alzano il tiro delle loro polemiche e mettono nel mirino il presidente del Senato, finora mai coinvolto negli scontri interni.
La nuova polemica scoppia in una situazione già segnata dai sospetti dei berlusconiani sulla reale volontà degli uomini di Fini di approvare il cammino del ddl intercettazioni.
A dar fuoco alle polveri è  Italo Bocchino, durante una sua visita a Palermo. Parlando delle difficoltà del Pdl nell'isola il braccio destro di Fini se la prende con  Schifani usando un tono che agli uomini di Berlusconi sembra intollerabile: "Se la questione siciliana si esaminasse con il criterio del consenso - dice Bocchino -  si eliminerebbe quella che è una correntina, pur se guidata dalla seconda carica dello Stato".
La sparata del braccio destro di Fini si inserisce nella difficile situazione del Pdl siciliano, spaccato in due da una scissione mai ricomposta: il Pdl-Sicilia capitanato dal sottosegretario Micciché, che raccoglie anche i finiani, a Palermo appoggia la giunta Lombardo insieme al Pd, mentre i cosiddetti "lealisti", guidati da Schifani e Alfano, stanno dall'altra parte.
La schizofrenia siciliana è un ottimo terreno di scontro tra le due anime del Pdl. Nel giro di poche ore, la situazione sfugge al controllo e se ne vedono di tutti i colori. Il senatore Carlo Vizzini, fedelissimo di Berlusconi e presidente della commissione Affari Costituzionali, sostiene che gli elettori del centrodestra in Sicilia non hanno seguito  gli scissionisti. Bocchino replica a brutto muso: "La smetta di diramare le veline che gli fornisce Schifani, piuttosto tiri fuori dai suoi cassetti polverosi il ddl anticorruzione che ha insabbiato".
Franco Giro, sottosegretario Berlusconiano, rinfaccia a Bocchino di essere sparito dalla Camera durante la seduta fiume di 33 ore dedicata al decreto sulle fondazioni liriche, dove c'era da combattere contro l'ostruzionismo dell'Idv. E mentre il coordinatore Denis Verdini dice che Bocchino  "provoca solo danni", Enrico La Loggia consiglia al braccio destro di Fini di "occuparsi della sua minuscola corrente".
Non fa sconti a Bocchino nemmeno il capogruppo Fabrizio Cicchitto che non vuole più vedere questo "stillicidio di attacchi sul piano personale" e invoca l'apertura del tesseramento del Pdl per eliminare il virus del correntismo.
Finito sul banco degli imputati, Bocchino si difende contrattaccando: nega di aver offeso Schifani e dice di sentirsi lui vittima: "La lunga lista di dichiarazioni offensive nei miei confronti - è la sua replica al fuoco amico - dimostra che il Pdl non è abituato all'esercizio democratico del dibattito interno. Appena si pone una questione le risposte sono 'chiuda la bocca' o 'vada via dal partito'. Questa non è democrazia, ma oligarchia aggressiva".
Alla fine della giornata, comunque, i finiani trovano motivo di soddisfazione. La loro polemica, sostengono Pippo Scalia, Carmelo Briguglio, Fabio Granata e Nino Lo Presti, è servita perché finalmente  "é caduto un tabù": ormai, sottolineano, si può parlare del presidente del Senato "come di un soggetto in campo che fa politica attiva e ha una corrente organizzata". Proprio come Fini, che dunque, è il messaggio, non deve più essere attaccato su questo terreno.

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