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Caldarola: «Sistema fatto da false coop, troppi soldi e pochi controlli»

L’editorialista: «C’è un eccesso di delega dei Comuni a enti per gestire il disagio sociale e un’entità abnorme di finanziamenti»

PALERMO. Gli sviluppi dell'inchiesta non lasciano respiro alla politica. L'ampiezza, anche internazionale, degli accertamenti e il progressivo puzzle dei riscontri fanno intravedere ulteriori coinvolgimenti. Il timore di nuovi colpi di scena tiene in surplace tutto il vasto contesto delle contiguità. Una sorta di atmosfera sospesa nel tentativo di rimuovere o far tornare nell'ombra intrecci e complicità. «Quello che più scandalizza nello scandalo é che ci si abitua» denunciava indignata la scrittrice Simone de Beauvoir. Un'abitudine, o meglio un'attitudine, criminale che per la cosiddetta mafia capitale si é protratta per quasi un decennio. C'è stata una tale caduta di legalità da avvolgere tutta Roma e devastarne l'immagine», afferma l'editorialista Peppino Caldarola.

Ma le indagini coinvolgono alcune centinaia, o al massimo un migliaio, di persone rispetto ai quasi quattro milioni di romani che rischiano così di diventare più volte vittime della mafia capitolina. Come ristabilire un equilibrato rapporto fra cause ed effetti?

«Lo scandalo romano, che alcuni tendono a sottovalutare, ma che è gravissimo, porta alla luce tre questioni: a) l'eccesso di delega da parte dei comuni verso enti o cooperative, vere o fasulle, per la gestione di situazioni in cui c'è disagio sociale, b) l'entità abnorme dei finanziamenti in vari campi con la creazione di posizioni monopolistiche, tanto che il capo della Coop 29 Giugno aveva interessi in molte attività diversissime fra di loro, c) la totale assenza di controlli. A questi tre elementi si aggiunge la corruzione di funzionari pubblici e di uomini politici. Da qui la ricetta anti-malaffare: ridurre il numero di associazioni e di, vere o finte, coop a cui delegare attività sociali, controllare l'effettiva limpidezza del loro lavoro (controllo da farsi regolarmente), introdurre regole che sanciscano la fuoriuscita dall'attività pubblica sia dei funzionari sia dei politici corrotti. Il sistema degli appalti dovrebbe essere revisionato da un'autorità garante. Oggi può farlo l'Anticorruzione di Raffaele Cantone».

Tutti denunciano lo scandalo delle aziende comunali partecipate, ma nessuno riesce ad abolirle. Perché?

«Effettivamente le "partecipate" sono un bubbone. Carlo Cottarelli, ex commissario straordinario alla spending review, aveva posto l'obiettivo di ridurre le 8000 partecipate a mille. con un risparmio in meno di cinque anni di circa quattro miliardi di euro. Le partecipate intervengono sia in settori essenziali (acqua, luce, trasporti, rifiuti) sia in campi irrilevanti. Pagano personale e soprattutto pagano consiglieri di amministrazione. Il rimedio è quello di dare una sforbiciata "cattiva", cioè tagliare senza pietà ciò che è inutile , dannoso e superfluo, privatizzare una gran parte di attività, e controllare severamente il resto dalla spesa, dal personale all'attività dei vertici aziendali, solitamente iper-pagati».

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