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Lo Bello: «A Renzi do un bell'otto in pagella»

Il vicepresidente di Confindustria: «Si parla di turismo al Sud e poi i musei sono chiusi nei festivi perché i custodi non lavorano»

PALERMO. Un bell'otto in pagella. È questo il voto che Ivan Lo Bello, siracusano, vicepresidente di Confindustria assegna al governo Renzi. Un giudizio che rappresenta una novità visto che, nel recente passato, i rapporti fra l'esecutivo e l'associazione degli industriali ha raggiunto punte di attrito molto accese. Basta ricordare, come esempio su tutti, lo scontro di tre anni fa tra Emma Marcegaglia e Silvio Berlusconi.

Un otto in pagella dato dagli industriali al governo non si vede tanto spesso. Che cosa è successo?
«È successo che gli interventi del governo vanno nella direzione giusta perché si vede una maggiore attenzione verso la crescita economica pur nel rispetto dei vincoli europei».

Ma non è sempre stato così?
«Nel recente passato funzionava il canone inverso. Prima venivano i parametri di Maastricht e poi le esigenze del sistema economico e produttivo. Questa impostazione ha portato a manovre di bilancio fortemente depressive perché caricate di tasse. Non a caso negli ultimi sei anni il Pil italiano è sceso dell'11% e la disoccupazione è volata al 12.4%. Adesso siamo fra i pochissimi Paesi Ocse a crescita negativa per il 2014».

E il 2015 come sarà?
«La Legge di Stabilità contiene misure decisamente espansive a cominciare dall'abbattimento della componente lavoro sull'Irap che si aggiunge alla cancellazione triennale dei contributi per i nuovi assunti. Sono misure importanti per aiutare la crescita».

Crescita è diventata la nuova parola d'ordine che ha sostituito rigore e austerità. Un cambiamento di parametro che è anche un'ammissione di colpa?
«Non credo sia questo il problema. Le politiche di contenimento della spesa hanno evitato il baratro cui Paesi molto indebitati come il nostro si erano pericolosamente avvicinati. Adesso però bisogna pensare al futuro puntando sullo sviluppo che non è solo un problema economico ma, soprattutto politico».

In che senso?
«Nel senso che l'assenza di crescita favorisce la nascita di partiti e movimenti anti-europeisti. Bisogna assolutamente bloccare questa dinamica se non vogliamo che i frutti migliori prodotti da mezzo secolo di Unione europea vadano in malora».
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