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De Giovannangeli: «Jihadisti europei cresciuti tra rabbia e voglia di identità»

L’inviato dell’«Huffington Post»: i terroristi non arrivano sulle nostre coste attraverso i gommoni. Semmai sono ben coperti e ben finanziati

Tremila cittadini europei pronti ad arruolarsi sotto le insegne jihadiste dell'Isis. Califfo Ibrahim visto come un nuovo Che Guevara, la bandiera nera che sostituisce quella rossa: l'identikit dei militanti pronti a battagliare per l'Isis è sempre più confacente al motto «la mia patria è laddove si combatte per la mia idea». Una nuova ideologia del terrore che non ha confini, che attecchisce in Europa come in America, che non ha classi sociali. È questa la tesi di Umberto De Giovannangeli, corrispondente de L'Huffington Post.

Come mai tremila europei sono pronti a combattere per l'Isis?

«I meccanismi che portano a questa scelta sono molteplici. C'è innanzitutto l'identificazione con una causa rivoluzionaria, in cui il militante radicale reputa se stesso come il potenziale sovvertitore dell'esistente. Non ci sono latitudini, né confini: l'adesione è soprattutto di matrice ideologico-religiosa. Emblematica, in tal senso, è la storia del genovese Giuliano Ibrahim Delnovo. Non proveniva da una famiglia araba, si è convertito all'Islam e successivamente ha fatto sua una battaglia sovranazionale, morendo in Siria tra le fila dei ribelli. C'è, in situazioni come questa, l'adesione alla lotta dei popoli oppressi. Com'era del resto accaduto in altri tempi, con altre ideologie».

Quali sono le ragioni profonde che stanno dietro a tali adesioni?

«Sono diverse le storie di cittadini europei o americani che finiscono per aderire alle milizie jihadiste perché alla ricerca di identità e di valori forti. Tanti, tra questi, non hanno alcun legame con l'Islam, hanno origini familiari tra le più svariate. In Francia si sono convertiti all'Islam, passando poi all'estremismo, ragazzi che non avevano alcun legame con gli arabi. C'è stato, complessivamente, un avvicinamento ex novo. C'è una platea che ha bisogno di approdo verso quelli che sono i nuovi fronti d liberazione».

L’intervista integrale sul Giornale di Sicilia in edicola

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