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Studiosi catanesi scoprono a Baghdad il muro di Hammurabi, avamposto di Babilonia

Nel trentottessimo anno del suo regno, nel secondo millennio prima di Cristo, Hammurabi aggiungeva un altro pezzo al suo impero e lo consolidava, a nord di Babilonia, con un avamposto militare. La conferma arriva dalla scoperta di una porta e di una cinta muraria monumentali, quest’ultima di sei metri di spessore, nel sito iracheno di Tell Muhammad a Baghdad. «Hammurabi - spiega l’archeologo Nicola Laneri, che ha diretto gli scavi - porta la capitale a Babilonia e inizia una serie di campagne militari verso sud, nord e est: è una conquista territoriale importante, anche se non si può propriamente parlare di impero. Nella fase finale del suo regno, Hammurabi conquista questi territori a nord di Babilonia».
Indagato dal leggendario archeologo Austen Henry Layard, il sito di Tell Muhammad mostra già la sua importanza intorno al 1850, quando l’inglese trova degli intarsi con iscrizioni hammurabiche. Negli anni ‘70 e ‘80 del secolo successivo gli iracheni portano alla luce l’area sacra e 300 tavolette in cui viene menzionata la formula «38 anni dopo» e una serie di iscrizioni successive a questa interpretate come «...la caduta di Babilonia». «Era - spiega Laneri - l’unica iscrizione in grado di definire quando la Babilonia hammurabica crollò, a opera di un sovrano ittita». E’ molto probabile, invece, che quel ‘trentottò si riferisca alla realizzazione dell’insediamento nel trentottessimo anno del regno di Hammurabi. «La nostra scoperta - dice Laneri - sembra confermare questa ipotesi». Gli scavi indicano anche altre direzioni in cui indirizzare la ricerca, che potrebbe tracciare Baghdad come una città d’acqua. «Tell Muahammad - dice Laneri - sta all’interno di un reticolo di insediamenti collegati probabilmente da canali. Abbiamo notato che al di fuori della cinta muraria, vi era un canale che collegava Tell Muhammad con il Tigri e un altro lo collegava con la Diyala, altro affluente del Tigri. Studi recentissimi stanno dimostrando che la città mesopotamica era segnata fortemente dai canali, che la dividevano disegnando dei quartieri. I canali, verosimilmente, entravano all’interno delle porte urbiche, che non servivano dunque solo come limite per le strade: su questo versante inizieremo una ricerca attraverso le fotografie aeree degnmi anni 50 e 60, che ci permetteranno di avere contezza del paesaggio urbano di Baghdad prima dell’esplosione urbana, che ancora oggi distrugge molti insediamenti antichi. Le autorità irachene ci chiedono di salvaguardarle».
La porta monumentale scoperta da Laneri, docente di Archelogia e Storia dell’Arte del Vicino oriente all’Università di Catania, e dalla sua squadra di ricercatori, è «in realtà una porta d’acqua, che si trovava sul canale, con una canaletta di scolo in ceramica che proveniva dall’aera del tempio e la collegava probabilmente aree della città. Più della porta è monumentale il muro che Hammurabi crea lungo la frontiera settentrionale del territorio di Babilonia». La missione archeologica guidata da Laneri è una delle 18 italiane che lavorano in Iraq da diversi anni, facendo della cultura il vettore di una rinascita dai disastri della guerra. «Abbiamo - sottolinea Laneri - una straordinaria presenza diplomatica con l’ambasciatore Maurizio Greganti, con una grande passione per l’archeologia e un progetto: un parco archeologico nella capitale irachena. Ci sono difficoltà sia economiche sia logistiche, naturalmente, ma a gennaio tornerò in Iraq per parlarne con lui. Il rapporto con le autorità irachene, tra l’altro, è spettacolare; hanno una gran voglia di emergere dalla guerra e dalle lotte intestine. Vivendo fuori dalla green zone, vediamo una città che sta per epslodere a livello economico, e oggi l’Italia rappresenta un’eccellenza in Iraq per la gestione di quel patrimonio culturale, immenso ma in pessime condizioni. C’è un popolo aperto, con una nuova generazione che vuole tornare alla normalità. L’unico problema, verrebbe da dire riprendendo Johnny Stecchino, è il traffico. Questa diplomazia ci rende fieri. Americani, francesi, inglesi e tedeschi non hanno questo tipo di rapporto con gli iracheni, che viaggia con la diplomazia e la cultura».

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