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Svezia alle urne, l'estrema destra più forte che mai

Magdalena Andersson

In Europa l’estrema destra cerca il colpo nella socialdemocratica Svezia, chiamata domenica alle urne per un voto mai così incerto. Il testa a testa per il seggio più alto del Rosenband, la sede del governo, si preannuncia tutto tra la premier uscente di centrosinistra, Madgalena Andersson, e il leader dei Moderati, Ulf Kristersson. Ma a rivelarsi decisivo per le sorti della nuova alleanza di governo sarà Jimmie Akesson, ex web designer di 43 anni dalla precoce carriera politica, che da giovanissimo ha preso in mano le redini dei nazionalisti anti-immigrati portandoli in alto nei sondaggi come mai prima d’ora.
Nominata appena dieci mesi fa prima donna a capo del governo nella storia della Svezia, Andersson, classe 1967, si è trovata ad accompagnare il Paese nel complicato contesto della guerra in Ucraina e gode oggi di forte fiducia tra gli elettori che, stando ai sondaggi, sarebbero pronti a riconoscerle circa il 29% delle preferenze. Un riconoscimento frutto della guida caparbia ma comunque insufficiente a placare le preoccupazioni per la guerra tra baby gang che in questi mesi - con quarantotto persone uccise dalle armi da fuoco dall’inizio dell’anno - ha offuscato l’immagine del Paese nordico.
Dopo una campagna elettorale inesorabilmente dominata dalla criminalità, i problemi di integrazione e le bollette energetiche alle stelle, l’opposizione è ora sempre più vicina, a una manciata di voti di distacco. Secondo gli ultimi sondaggi, molto altalenanti, l’alleanza di centrosinistra (Socialdemocratici, Verdi, Sinistra e Partito di Centro) viaggia tra il 49,1% e il 50,1%, contro la corazzata di destra, formata da Moderati e Liberali pronti a governare con i Democratici Svedesi (Sverigesdemokraterna) di Akesson - dicendo addio al tradizionale cordone sanitario - che potrebbe incassare tra il 49,2% e il 49,9% dei consensi.
A inclinare l’ago della bilancia verso l’alto o verso il basso sarà con tutta probabilità proprio il leader nazionalista, dato intorno al 20%, alimentando i sogni della destra a digiuno da quasi un secolo. Nato, a dispetto del nome, a fine anni ‘80 dalle ceneri di movimenti neonazisti e suprematisti, il suo partito ha ristagnato all’1% per anni, riuscendo a entrare in parlamento solo nel 2010. Con il suo ‘Sverige ska bli bra igen’ (la Svezia tornerà ad essere buona) di trumpiana memoria, e una retorica xenofoba, anti-immigrazione, a difesa del tradizionale stato sociale, l’ex web designer è riuscito a poco a poco a fare breccia tra le classi lavoratrici, i pensionati e le persone poco qualificate, in maggioranza uomini. Nessun mistero nemmeno sulle sue posizioni in Europa, dove fa parte del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei (Ecr), guidati da Giorgia Meloni.
Domani gli elettori avranno l’ultima parola. Dalla sua, la premier uscente ha tutto il lavoro fatto in questi mesi per accompagnare Stoccolma nel delicato processo di adesione alla Nato, linea rossa per gli svedesi storicamente fuori dalle alleanze militari. Vada come vada, chi strapperà la vittoria dal 1 gennaio si troverà ad assumere, alla guida del Paese, la presidenza di turno dell’Unione europea. Che, insieme all’Italia, resta alla finestra.

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