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Ucciso in Ucraina un giornalista Usa e cresce la paura per l'impiego di armi chimiche

Brend Renaud, la vittima

Mentre cresce, in una Ucraina oramai del tutto terreno di battaglia, il timore delle armi chimiche, fra le vittime si registra il primo giornalista, l’americano Brent Renaud, ucciso a Irpin, nei sobborghi di Kiev, da un colpo al collo al checkpoint dove filmava profughi in fuga dalla capitale. Due suoi colleghi sono rimasti feriti. Immediata la replica di Washington: la Russia subirà gravi conseguenze per quanto sta facendo, dice il consigliere Sicurezza nazionale Jack Sullivan.

A farsi portavoce dei timori sulle armi chimiche il presidente polacco Andrzej Duda, che alla Bbc ha risposto di pensare «che Putin possa usare qualunque cosa in questo momento, specialmente quando si trova in una situazione difficile». Eventualità che, secondo Duda, potrebbe portare a un impegno diretto della Nato. E la stessa Casa Bianca ha avvertito Mosca che in questo caso pagherebbe un prezzo alto. Una messa in guardia peraltro arrivata anche dal segretario generale dell’ Alleanza atlantica, il segretario generale Jens Stoltenberg, il quale chiarisce inoltre che non si sta cercando alcuna guerra con Mosca, e per questo motivo torna a dirsi contrario ad ogni ipotesi di No fly zone, chiedendo a Putin di ritirare le truppe e tornare al tavolo della diplomazia. Su questo fronte, intanto,
il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov spiega che nessuno esclude la possibilità di un incontro tra Putin e il presidente ucraino Zelensky, ma bisogna capire di che cosa discutere in questo incontro e quale dovrà essere il risultato. Nuovi colloqui Mosca-Kiev potrebbero aver luogo «già domani o dopodomani», afferma Mykhailo Podoliak, consigliere del presidente ucraino. Si tratterebbe del quarto round di una serie negoziale che finora non ha dato risultati concreti.

Un colloquio fra Kiev e Varsavia si è invece registrato dopo l’intensificazione degli attacchi russi nel nordovest ucraino, in alcuni casi a pochi chilometri dal confine polacco. Come è successo al centro internazionale per il mantenimento della pace e la sicurezza di Javoriv, più o meno a metà strada fra Leopoli e il confine polacco, a 25 km dall’Unione europea. Nel centro era attivo anche personale straniero. Sulla base sono stati lanciati una trentina di missili: al momento si contano 35 morti e 134 feriti.

Attacchi russi sono comunque concentrati anche in quasi tutte le aree densamente abitate dell’Ucraina, e stanno producendo pesanti conseguenze: si stima che circa un milione di persone siano senza gas e riscaldamento, mentre si sta lavorando per riparare i danni che i bombardamenti hanno causato a Donetsk, Luhansk e Mykolaiv. Ai tecnici è stato però impedito di raggiungere un centro di distribuzione gas a Bashtanka, nella parte meridionale, a causa dei combattimenti in corso. Dai quali continua la fuga dei civili, con Kiev che fa sapere di essere stata in grado di evacuare circa 125mila persone usando i corridoi umanitari. «L’impegno maggiore ora è Mariupol - spiega lo stesso Zelensky - Il nostro sforzo diplomatico è focalizzato sugli aiuti per raggiungere la città».E un convoglio umanitario diretto al porto assediato, dopo essere partito da Zaporizhzia, sta procedendo il suo cammino e al momento senza incontrare ostacoli.

In Russia intanto vanno avanti le proteste contro l’invasione in Ucraina. Tensione ed arresti a Mosca ed in altre città, dove sono in corso manifestazioni contro la guerra. OVD-Info, ong specializzata nel monitoraggio, riferisce di almeno 268 persone già bloccate in 23 città. Dalle immagini dei media si vedono poliziotti intervenire con la forza contro chi manifesta. E sono 14.274, dal 24 febbraio scorso, la persone arrestate in Russia durante le proteste contro l’aggressione all’Ucraina, rende noto la ong. Un appello accorato a fermare il massacro arriva anche dal papa nel corso dell’Angelus: «cessare l’inaccettabile aggressione armata prima che riduca le città a cimiteri».

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