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Il monito del Papa: "Salario dignitoso a chi lavora, basta disoccupati"

Papa Francesco in visita in Madagascar

È un momento di gioia trascinante, festosa, coloratissima, quello che i giovani del villaggio Akamasoa - la «Città dell’Amicizia» -, la grande opera umanitaria fondata trent'anni fa dal missionario argentino padre Pedro Opeka nei pressi della discarica di Antananarivo, riserva al Papa nel pomeriggio. Francesco è a tratti commosso, comunque intensamente toccato, dall’abbraccio travolgente dei canti e delle coreografie, dei mille colori delle magliette e bandierine all’interno dell’Auditorium, nell’opera di cui oggi beneficiano 25 mila persone, vivendo nei villaggi nati nell’area, i 30 mila poveri aiutati ogni anno, i 14 mila bambini che accedono al percorso scolastico. E il messaggio che il Papa lascia a questo Paese indigente malgrado le risorse, presente il capo dello Stato Andry Rajoelina, è che «la povertà non è una fatalità», e davanti ai suoi «effetti nefasti» non bisogna «arrendersi mai».

«Preghiamo perché in tutto il Madagascar e in altre parti del mondo si diffonda lo splendore di questa luce, e possiamo raggiungere modelli di sviluppo che privilegino la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale a partire dalla fiducia, dall’educazione, dal lavoro e dall’impegno, che sono sempre indispensabili per la dignità della persona umana», afferma. Ma tra i momenti cruciali di questo fine visita in Madagascar - domani Bergoglio vola a Mauritius, ancora nell’Oceano Indiano, terza e ultima tappa di questo viaggio in Africa Australe - c'è anche la «preghiera per i lavoratori» che Francesco eleva nell’attiguo cantiere Mahatazana, cava di granito gestita dalla "Città dell’Amicizia» che dà lavoro a 700 persone. E il Papa vi tocca ogni aspetto, dalla dignità di lavoro e salari, al no alla disoccupazione e al lavoro minorile, alla difesa dei diritti.

«Dio di giustizia, tocca il cuore di imprenditori e dirigenti: provvedano a tutto ciò che è necessario per assicurare a quanti lavorano un salario dignitoso e condizioni rispettose della loro dignità di persone umane», dice nell’inedita preghiera.

«Prenditi cura con la tua paterna misericordia di coloro che sono senza lavoro, e fà che la disoccupazione - causa di tante miserie - sparisca dalle nostre società. Ognuno conosca la gioia e la dignità di guadagnarsi il pane per portarlo a casa e mantenere i suoi cari».

«Preserva i loro corpi dal troppo logorarsi», dice dei lavoratori: «Concedi ad essi il vigore dell’anima e la salute del corpo perché non restino schiacciati dal peso del loro compito». «Fà che il frutto del lavoro permetta ad essi di assicurare una vita dignitosa alle loro famiglie», invoca ancora, aggiungendo «che i nostri bambini non siano costretti a lavorare, possano andare a scuola e proseguire i loro studi, e i loro professori consacrino tempo a questo compito, senza aver bisogno di altre attività per la sussistenza quotidiana». E ancora: «crea tra i lavoratori uno spirito di vera solidarietà. Sappiano essere attenti gli uni agli altri, incoraggiarsi a vicenda, sostenere chi è sfinito, rialzare chi è caduto».

«Il loro cuore non ceda mai all’odio, al rancore, all’amarezza davanti all’ingiustizia, ma conservino viva la speranza di vedere un mondo migliore e lavorare per esso», prega: «Sappiano, insieme, in modo costruttivo, far valere i loro diritti e le loro voci e il loro grido siano ascoltati».

Nella mattinata resta negli occhi il milione di fedeli - non poco per un Paese con 8,2 milioni di cattolici, il 34,8% della popolazione - nella spianata di Soamandrakizay per la messa. E nell’omelia, il Papa mette decisamente in guardia dal «fascino di qualche ideologia che finisce per strumentalizzare il nome di Dio o la religione per giustificare atti di violenza, di segregazione e persino di omicidio, esilio, terrorismo ed emarginazione». Il richiamo è a «non manipolare il Vangelo con tristi riduzionismi, bensì a costruire la storia in fraternità e solidarietà».

(ANSA)

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