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Ue ferma l'orologio della Brexit, il "divorzio" posticipato a Halloween

Theresa May

Qualcuno l’ha già ribattezzata una Halloween-Brexit, perché le lancette dell’orologio del divorzio del Regno Unito ora sono spostate al 31 ottobre.

Otto ore di lavori, tante ce ne sono volute ai 27 capi di stato e di governo Ue, al vertice straordinario, per dare sei mesi di nuovo ossigeno a Theresa May e permetterle così di cercare una maggioranza per l’Accordo di divorzio a Westminster, evitando lo sfacelo di una separazione traumatica, che secondo il vecchio calendario si sarebbe compiuta oggi.

«Un’estensione flessibile, un po' più corta di quanto prevedevo, ma ancora abbastanza, per trovare la soluzione migliore. Non buttate via questo tempo», ha ammonito il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, rivolgendosi ai Comuni «che ora hanno la partita nelle loro mani», e che grazie all’elemento di flessibilità introdotto nella proroga potrebbero uscire a stretto giro, mettendo fine alla coabitazione forzata con l’Ue. Condizione posta dall’Unione per ottenere la proroga: la partecipazione della Gran Bretagna alle elezioni Europee, pena trovarsi catapultata fuori dal blocco senza un accordo, il primo giugno.

«Dura lex, sed lex», ha rimarcato il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, che ci ha tenuto a sottolineare come la «revisione» fissata al Consiglio europeo di giugno non sarà una tagliola, ma un’occasione «per fare un punto della situazione». A favore della decisione della proroga al 31 ottobre - che coincide con la scadenza del mandato dell’esecutivo di Juncker - ha giocato la speranza che il nuovo dialogo lanciato dalla premier britannica col leader Labour Jermey Corbyn, possa portare i suoi frutti a breve, e permettere finalmente di aprire un nuovo capitolo.

Gli argomenti portati al tavolo da May, che ai suoi omologhi ha detto di «voler uscire il prima possibile» puntando al 22 maggio, sono sembrati più solidi rispetto al passato, ma non abbastanza forti da convincere nell’immediato il presidente francese Emmanuel Macron, arrivato ai lavori del vertice già arroccato sull'opzione di una proroga breve al 30 giugno, e sostenuto da una manciata scarsa di altri leader, tra cui il cancelliere austriaco Sebastian Kurz.

Macron si è detto preoccupato per le elezioni dell’Eurocamera e la collaborazione leale di Londra durante il periodo di permanenza. E nemmeno un incontro bilaterale con Angela Merkel è servito ad ammorbidire le posizioni del capo dell’Eliseo: per "farlo scendere dalla montagna» sono state necessarie varie proposte e un duro confronto con Juncker, hanno rivelato fonti diplomatiche. Il presidente francese, che a fine vertice ha parlato di «miglior compromesso possibile per salvaguardare l’unità dei 27», alla riunione ha giocato fino in fondo il ruolo del bastian contrario, insoddisfatto anche di fronte ad un rafforzamento del testo delle conclusioni, con un meccanismo per neutralizzare eventuali azioni di ostruzionismo da parte del Regno Unito durante la proroga. Uno spauracchio che i Tories brexeeter sono tornati ad agitare, inquietando anche il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, che ha avvertito: l'Eurocamera «non è un albergo a ore, da cui si entra e si esce a proprio piacimento».

Paladina della necessità di concedere una proroga lunga a Londra - che nelle intenzioni iniziali era di nove, dodici mesi - è stata invece la cancelliera Merkel (il caso ha voluto che indossasse una giacca azzurro elettrico proprio come quella della premier britannica), che si è battuta fino all’ultimo, richiamando la necessità di «salvaguardare l’unità dell’Ue e ad evitare una Brexit senza accordo». L’unione dei 27 è salva per ora, ma non è detto che la saga Brexit non riservi presto nuove sorprese.

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