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Brexit, piccola speranza per la May: c'è l'apertura dei "Falchi"

Si intravede un barlume di speranza, forse, verso un via libera all’accordo sulla Brexit che Theresa May ha promesso di sottoporre di nuovo all’esame del Parlamento britannico fra meno di 10 giorni, entro il 12 marzo. La mano in extremis alla premier Tory, sia pure in forma condizionata, pare arrivare niente meno che dai più riottosi tra i falchi ribelli della sua maggioranza, il cui (eventuale) ricompattamento resta lontano dal garantire certezze, ma potrebbe offrirle almeno una chance di successo: ai limiti del miracoloso, dopo la storica bocciatura del primo tentativo di ratifica segnato a gennaio dalla più colossale sconfitta (230 voti di scarto) mai rimediata a Westminster da un governo di Sua Maestà.

Tutto nasce da una lettera inviata alla May e anticipata dal Sunday Times nella quale otto deputati - in rappresentanza dei Conservatori euroscettici oltranzisti dello European Research Group guidato da Jacob Rees-Mogg e degli alleati della destra unionista nordirlandese del Dup - fissano le loro «tre condizioni» per dire sì a un compromesso concordato fra il governo e l’Ue tale da scongiurare lo spettro di un no deal.

E mostrano in sostanza di potersi 'accontentarè della concessione di un testo aggiuntivo da parte di Bruxelles a garanzia d’una durata non illimitata del backstop (la contestata clausola di salvaguardia sul confine aperto irlandese) il cui valore legale venga poi assicurato dall’attorney general Geoffrey Cox. Condizioni che il ministro del Commercio Internazionale, Liam Fox, accoglie come «uno sforzo genuino di cercare un terreno comune». E che in effetti sembrano poter dare a Downing Street qualche margine di manovra. Tanto più se sull'altro fronte dello schieramento politico si concretizzasse la sponda evocata anche dalla fronda dei parlamentari laburisti eletti nei collegi pro-Brexit di tradizione operaia dell’Inghilterra del Nord, delle Midlands e d’una parte del Galles: pronti a venire in soccorso della premier e del suo accordo addirittura in «60-70», a credere a una di loro, Caroline Flint, in cambio di impegni sulle tutele post-divorzio dei diritti dei lavoratori britannici e di qualche altro gesto di buona volontà politica del governo.

Per impedire questa saldatura si muove viceversa Tony Blair, tuttora accreditato dai media come stratega di riferimento dell’ala più irriducibile del fronte pro-Remain a dispetto della diffusa impopolarità. Ospitato sulle colonne dell’Observer, il domenicale del Guardian, e intervistato da Andrew Marr nel talk show politico per eccellenza della Bbc, l’ex primo ministro e profeta del New Labour che fu invoca in questa fase ogni sforzo per far naufragare il piano May: premessa per poter giocare la carta dell’estensione dell’articolo 50 rispetto alla data ormai imminente del 29 marzo e quindi di quel rinvio della Brexit che la stessa lady Theresa ha accettato obtorto collo come opzione
da mettere al voto della Camera dei Comuni nel caso d’un nuovo flop del suo accordo il 12 marzo. Un rinvio «da usare», nelle parole di Blair, per porre in un primo momento l’alternativa "soft Brexit contro hard Brexit». E, quando il tempo sarà maturo e la gente abbastanza allarmata, mirare al vero obiettivo, quello di «tornare dal popolo» con un referendum bis. Popolo a cui si appella d’altronde pure il ministro brexiteer Fox, ma con tutt'altre convinzioni. Qualunque ipotesi di rinvio orientata sotto traccia «al tentativo di sabotare» la Brexit sarebbe «completamente inaccettabile», replica Fox dagli stessi schermi della Bbc. E sarebbe destinata - tuona - a scatenare «un
contraccolpo fra gli elettori traditi».

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