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Elezioni mid term, i siciliani d’America sedotti da Trump: "Ha risollevato l'economia"

Foto di gruppo per i siciliani che vivono negli States

America first, prima l'America. È il motto che Donald Trump ha reso slogan dei suoi elettori. America al voto e alla chiamata sul gradimento del presidente. La sfida è tutta su di lui. Il Congresso potrebbe cambiare colore: i Democratici (blu) sono dati in vantaggio alla Camera dei rappresentati. Il Senato potrebbe tingersi di rosso. Fra gli Stati dati in bilico c'è il Nevada. Swing state da quasi 4 milioni di
abitanti, di cui la metà concentrata a Las Vegas, il paese dei balocchi.

Luci, led, neon, Caesar Palace, la torre Eiffel riprodotta, Venezia riprodotta, casinò in un ogni angolo. Vegas straripa, nello Stato più piccolo dell'unione. Cantieri dappertutto, grattacieli in costruzione, interi
quartieri già una pietra sull'altra. Qui vive una folta comunità di 3500 italiani e fra loro diversi
sicilian-american voters. Cordiali, accoglienti, ottimisti, sono un esempio di elettore trumpiano.
Gli chiedi perché e vanno dritti al punto: «Per l'economia, perché va bene», dice Rosalie Arena Hitechew.

Palermitana hundred per cent, americana hundred per cent anche se nata in zona Politema. È arrivata negli Usa nel 1965. Era una ragazzina. Adesso ha tre figli, Barbara, Brian e Perry. L'intera famiglia vota per il Tycoon. «Abbiamo superato una fase difficile grazie a lui, tutto si era fermato, adesso crescono
occupazione, commercio, edilizia, turismo». È il punto di vista di chi vive in una di quelle parti d'America dove il +4% di Pil è realtà. Eppure il Nevada potrebbe voltare le spalle al presidente.

«Potrebbe accadere - dice Perry Hitechew, 33enne pieno di passione politica, figlio di Rosalie - Qui sono venuti a vivere tantissimi californiani per sfuggire al costo della vita che da loro è molto più alto. Sono qui e votano liberal». Aleggia lo spettro della sconfitta: «Ma vedrete, se Trump perde "the house", tratterà anche con i Democratici, lui lo era e non lo dobbiamo dimenticare».

Angelo Mannina da Trabia, parla pochissimo l'italiano. È da poco stato a Palermo. La adora assieme alla moglie Carol. Suo padre è partito nella prima metà del '900. Poi un periodo fra New York e Chicago, in mezzo una lunga permanenza a San Francisco dove Mannina ha lavorato come tipografo: «Adesso è tutto digitale, computer ovunque, ai miei tempi si usava la linotype». Con lui si discute di immigrazione. Perché la sua famiglia ha avuto il diritto di costruirsi un futuro in America e adesso, come indica Trump, si vorrebbe cancellare lo ius soli?

«Noi non siamo contro l'immigrazione legale - spiega -noi siamo arrivati con la documentazione corretta e siamo stati accolti con procedure ben precise». Certo, tempi lontani. La mobilità di adesso ha spinte più complesse, povertà, guerre, disagio: «Ma tante volte chi viene qui lo fa perché vuole approfittare del sistema, ottenere benefit e il social security number - aggiunge Valeria Sabatini di Terni, press coordinatore della Casa italiana di Las Vegas - Sono in attesa di giurare fedeltà a questo Paese. Questa volta non voto. Lo farò nel 2020. Per Trump».

Secondo Joseph Todaro il tycoon vince perché mantiene le promesse. Madre palermitana e padre calabrese, ha fatto il sindacalista. Adesso vota Trump: «America first ha detto e lo ha fatto - sottolinea - le cose vanno meglio se ciascun Paese fa per sé». Joseph è anche lui a digiuno della lingua dei suoi genitori. Si gode la pensione all'ombra della cascata perenne di luci di Vegas, ascoltando Bocelli e tenori del passato. «Il bel canto è una cosa italiana che mi resta», dice ammettendo di non essere mai stato in Sicilia.

L'italiano è al centro di dilemmi di tante famiglie giovani. Simona Tabacchiera ha due figli. Romana lei, romano il marito Carlo Marroni, da venti anni in Nevada: «Noi gli parliamo nella nostra lingua ma loro non rispondono - se ne duole ma sorride - l'America di adesso dà più possibilità. Ai ragazzi che hanno voglia di studiare vengono date molte chance anche per pagare l'Università, dal prestito in poi». A Vegas si lavora un po' tutti attorno al sistema dell'enterteinment. Le strade sono formicai, idem i casinò.

Ovunque si stagliano big screen con mega foto di star in procinto di tenere concerti. Se ci si aspetta che tutto ciò abbiamo un tono decadente, francamente viene da dire di no. La giostra gira con moto perpetuo, 24 ore su 24. Ma la città non è solo dei gamblers, i giocatori. Altro giro d'affari milionario, quello della cannabis. Da due anni legalizzata, è il nuovo business verso altre frontiere dell'intrattenimento. Fioccano shops che la vendono in forme disparate, dal simil-spinello, alla caramella, alla cioccolata.

Tutto in vetrina, alla portata di chiunque abbia più di 21 anni. Armi libere. Vai in un negozio e compri pistole e fucili. E nessuno si offende se gli si dice che d'altronde siamo nel far west. Avere la pistola addosso qui è come portare un accessorio. Brucia ancora la ferita della strage del primo ottobre dello scorso anno. Stephen Paddock fece fuoco da un hotel dopo un concerto e uccise 59 persone, ferendone centinaio. Aveva un arsenale in casa.

Di questi giorni un altro dramma, una bambina di 12 anni uccisa durante una sparatoria fra vicini di casa. «La tragedia del primo ottobre ci ha uniti di più comunità - dice Perry Hitechew - sono ottimista
andrà meglio». Mamma Rosalie a Palermo torna ogni anno per abbracciare i familiari. Adesso però
è concentrata sulla campagna elettorale e fa un'analisi sul ruolo dei media. Dice che potrebbero avere un peso in questo mid term: «Giornali e TV sono contro Trump e diffondono solo il loro punto di vista. Darei a loro la colpa di un'eventuale sconfitta del presidente».

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