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La Svezia al voto tra i timori dell'onda anti-immigrati

Jimmie Akesson

Alle 8 si sono aperti i seggi in Svezia per le elezioni politiche più accese e incerte della sua storia recente. Dopo una feroce campagna elettorale in gran parte incentrata sull'immigrazione, l’Europa e il governo di minoranza guidato dai socialdemocratici temono un’impennata senza precedenti della destra sovranista, anti-immigrati ed euroscettica dei Democratici svedesi (Sd), che, sotto la guida del giovane Jimmie Akesson, sono passati dal 6 al 13% nel voto del 2014 e ora potrebbero arrivare al 20%, tallonando i socialdemocratici del premier Stefan Lofven.

I primi exit poll sono previsti alle 20 di stasera, appena chiuderanno i seggi. La Svezia ha normalmente un tasso di affluenza alle urne elevato, intorno all’86%.

L’accoglienza di migranti e rifugiati è sempre stato un elemento identitario della cultura svedese. Ma l’ascesa degli Svedesi Democratici (SD), un formazione populista di destra radicale, dichiaratamente anti-immigrati, è il sintomo del diffuso malcontento che cova nel paese scandinavo. La campagna elettorale, che ha preceduto il voto di domenica per il rinnovo del Parlamento, è ruotata invariabilmente su come frenare l’arrivo di nuovi stranieri.

Solo nel 2015 erano stati accolti più di 160mila nuovi migranti, un’enormità per un paese di 10 milioni di abitanti. Le limitazioni degli anni successivi non hanno evidentemente saputo arginare un sentimento diffuso di crescente esasperazione. Sfruttato politicamente dagli Svedesi Democratici, che denunciano - con toni spesso violenti - i problemi dell’integrazione, tra segregazione residenziale e gang criminali. «Stiamo vivendo grandi difficoltà a causa dell’immigrazione, e vogliamo limitare i nuovi arrivi, come d’altronde chiediamo da tempo - ha spiegato Tobias, Andersson, 22enne candidato al Riksdag -. Ora però vediamo che altri partiti hanno adottato le nostre stesse politiche. Ma sono sicuro che gli svedesi preferiscano l’originale a brutte copie».

Secondo gli ultimi sondaggi uno svedese su 5 voterà gli Svedesi Democratici, destinati a diventare la seconda forza del paese. Ma nonostante l’atteso exploit, difficilmente andranno al governo: per via delle loro passate contiguità con movimenti neo-nazisti, nessun partito sembra disponibile ad alleanze.

Attorno al partito guidato dal giovane leader Jimmie Akesson è stato innalzato un «cordone sanitario», che però non sembra aver impedito agli SD di raddoppiare i consensi nel giro di quattro anni. «Al contrario è stato un bene per gli Svedesi Democratici, perché ha contribuito a renderli ancor più popolari - l’analisi del politologo Hans-Ivar Sward -. La peggior cosa che può capitare in politica è venire ignorati. Meglio essere odiati». I comizi degli SD sono spesso accompagnati dalle manifestazioni di protesta di chi li considera dei fascisti xenofobi. «Ci accusano di razzismo, ma alla fine il governo è stato costretto a fare quello che noi proponevamo già tre anni», aggiunge Andersson, alludendo alla stretta sull'immigrazione dell’ultimo triennio.

Le unanime previsioni alla vigilia del voto confermano l'arretramento dei partiti tradizionali, con i due blocchi di centro-destra e centro-sinistra appaiati ma lontani dalla maggioranza. Si preannuncia un governo di minoranza, ma senza la base parlamentare per fare le riforme di cui il paese necessita: dalla modernizzazione del sistema sanitario nazionale alle politiche sulla casa. Fino a politiche migratorie. «La domanda non è più come possono gli stranieri per far parte della nostra società, o cosa dobbiamo fare noi per favorire l’integrazione», è l’allarme di Daniel Poohl, direttore della onlus Expo che si occupa di migrazioni: «C'è gente che è contro gli immigrati, contro l’idea stessa di società multiculturale». Quella promossa e difesa dai socialdemocratici del Primo ministro Stefan Lofven, destinati al peggior risultato di sempre.

Mai così incerta e polarizzata, la Svezia vota rivelando una crisi d’identità profonda quanto inaspettata. Perché la crescita economica prosegue stabile e il tasso d’occupazione è fermo al 6%, a conferma di un sistema fino ad oggi capace di assorbire più migranti di tutti in Europa (in percentuale). «Purtroppo l'aria è cambiata e temo che possa degenerare», dice preoccupato Babak Sadighi, un imprenditore iraniano fuggito durante la guerra con l’Iraq. A Stoccolma ormai da più di 35 anni, sposato con una svedese, è un esempio di successo di quella Svezia "superpotenza umanitaria». «Ma continuo a credere che oggi sia più facile per gli stranieri. Quando sono arrivato io non c'erano tanti immigrati, men che meno di successo. Oggi esistono tanti modelli di riferimento, la società è comunque più aperta».

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